di Giuseppe Esposito-
Se qualcuno, nonostante l’incertezza dei tempi, volesse esercitarsi in un esercizio di previsione del futuro, potrebbe essere spinto, da quanto sta accadendo in Ucraina, ad una profezia sulla fine del sistema attuale basato sulla globalizzazione. Cosa che prima o poi sarebbe dovuta accadere poiché l’ingordigia del capitale ha avuto un effetto negativo sulle nostre società e sulla civiltà, trasformandoci tutti da cittadini a semplici consumatori, ostaggi della teoria del profitto e della libertà del mercato.
Certo che l’entità del cambiamento appare assai difficile da configurare, essendo ogni cosa legata all’esito del conflitto militare in corso in Ucraina.
Una cosa però appare quasi certa è che lo scontro non è limitato alla Russia di Putin ed all’Ucraina di Zelenskij, ma investe da una parte l’Occidente di cui sono parte gli Stati Uniti e l’Europa, dall’altra parte vi sono, defilate in una ambigua posizione di neutralità potenze come la Cina, L’india e la Turchia. Ma la posta in gioco è, senza dubbio, il sistema legato alla globalizzazione, questo frutto avvelenato del capitalismo e delle teorie del libero mercato che ci ha condotto sull’orlo di un precipizio letale e che ha sconvolto le economie di non pochi paesi.
Siamo quindi presumibilmente alla vigilia di un cambiamento epocale, paragonabile solo a quello indotto, a suo tempo, dalle due rivoluzioni industriali. Esse, si può dire, aprirono la strada a quella che sarebbe poi stata la globalizzazione.
La prima forma di rivoluzione industriale ebbe luogo nell’Inghilterra della seconda parte del ‘700 e si esaurì intorno agli anni Trenta del XIX secolo. Alla fine dello stesso secolo si ebbe la seconda rivoluzione industriale, esauritasi poi nel terribile rogo della prima guerra mondiale. Quelle due rivoluzioni furono basate sullo sviluppo scientifico e tecnologico e permisero per la prima volta agli uomini ed alle merci di muoversi liberamente su tutto l’intero globo terracqueo, abbattendo le barriere costituite dalla distanza. Quelle rivoluzioni resero il mondo più piccolo e permisero di creare una rete di rapporti commerciali su scala planetaria.
Dopo la fine del primo conflitto mondiale e le crisi innescate dal rogo di risorse inghiottite dalla guerra, il processo di globalizzazione conobbe una stasi che culminata nella crisi del 1929 si protrasse fino alla fine della seconda Guerra Mondiale. La fine di quel conflitto ci consegnò un mondo diviso in due blocchi contrapposti e la globalizzazione interessò separatamente i paesi inclusi in ciascuno dei due blocchi. La produzione e lo scambio avveniva in due circuiti indipendenti, dominati da una parte dagli Stati Uniti e dall’altra dall’Unione Sovietica. Era il tempo di quella che fu definita la Guerra Fredda.
Sul finire degli anni Ottana assistemmo al collasso del mondo imperniato sulla centralità del potere sovietico. Dopo la caduta del muro di Berlino, le barriere tra i due diversi blocchi vennero a cadere e la globalizzazione ebbe il suo più grande impulso, avviluppando il globo nella sua interezza.
Ma coloro che spingevano per una globalizzazione sempre più accentuata, ossia i detentori del capitale, i protagonisti della finanza mondiale con la loro visione del mondo in cui si è arrivati alla ripartizione planetaria della produzione, hanno trasformato la Cina nella fabbrica del mondo. Quel capitalismo che ha inteso massimizzare i suoi profitti sfruttando il basso costo della manodopera nei paesi asiatici potrebbe essere giunto oramai al suo redde rationem. Esso infatti ha spinto la crescita di quei paesi in cui la produzione di tutti i beni è stata delocalizzata, ad un livello tale che essi oramai reclamano un loro peso negli equilibri mondiali a detrimento del peso che, fino ad oggi ha avuto il blocco occidentale.
Ora, quel capitalismo che persegue, attraverso la globalizzazione, la crescita indefinita dei suoi profitti ha bisogno di stabilità ed ha perciò interesse a mettere fine, nel più breve tempo possibile alla crisi russo-ucraina.
Tuttavia è assai improbabile che la fine del conflitto ci restituisca un mondo uguale a quello conosciuto finora. La crisi in atto, è dovuta all’innesto del revanscismo russo, che è andato a sommarsi allo scontro già in atto tra Stati Uniti e Cina, in campo commerciale.
A quella aggressione il mondo occidentale ha risposto con una durezza ed una compattezza senza precedenti, con tutte le armi che la globalizzazione ha messo a disposizione, cioè quelle economiche legate alla mobilità dei capitali.
Stati Uniti ed Europa hanno applicato alla Russia delle sanzioni tendenti ad isolare quel Paese. Le sue risorse valutarie allocate all’estero sono state congelate. In questo modo la banca centrale russa non ha potuto intervenire a sostegno del rublo che ha perso in pochi giorni il 40% del suo valore. Sul fronte interno è stata costretta a portare i tassi di interesse intorno al valore de 20% e a d imporre un controllo sui capitali.
Il governo ha imposto alle sue società operanti all’estero di trasformare tutti i loro crediti in rubli. Le maggiori banche del paese sono state escluse dallo SWIFT, il sistema internazionale dei pagamenti. Tutte le multinazionali con attività in territorio russo si sono ritirate da quel mercato ed i più importanti fondi di investimento hanno liquidato le loro posizioni in Russia. La conseguenza di tutto ciò sarà la carenza accentuata di capitali disponibili ed il blocco di ogni attività industriale e commerciale della Russia. Persino la vendita di petrolio, una delle maggiori rendite del paese si è fermata. Molte sono le cisterne ferme nei porti, per la paura di acquistare del petrolio che l’embargo occidentale potrebbe loro impedire di rivendere.
Pare quindi che l’obbiettivo di isolare completamente la Russia sia stato praticamente raggiunto. Inoltre, la carenza di gas e petrolio ha spinto tutti i governi europei a riflettere sull’importanza di una autonomia energetica. Ma anche sulla delocalizzazione nella produzione di beni è in atto un profondo ripensamento. Il fatto di aver affidato alla Cina la produzione della maggior parte dei beni necessari appare oggi come un clamoroso errore, procurato dalla miopia legata a al solo parametro di giudizio costituito dal profitto. Oggi la strada che sembrava garantire l’ottimizzazione di esso appare molto arrischiata, un azzardo che si è messo in atto senza riflettere alle possibili consgeuenze.
Già durante la pandemia la carenza di mascherine e respiratori aveva fatto emergere i rischi di quelle scelte. Oggi ci rendiamo conto di non poter più fare affari con paesi che potrebbero diventare nostri nemici in campo economico e geopolitico.
Se allora la conseguenza della crisi attuale ci porterà di nuovo verso la divisione del mondo in due blocchi concorrenti, si potrebbe regredire in una situazione simile a quella conosciuta ai tempi della Guerra Fredda, una condizione in cui la produzione ed il commercio di beni avviene all’interno dei rispettivi blocchi di appartenenza, tra paesi omogenei dal punto di vista geopolitico.
Ma tutto dipende da come verrà composta la vertenza ucraina, se cioè la diplomazia riuscirà a fermare le armi. In caso contrario anche la condizione precedente potrebbe divenire un sogno o un pio desiderio. Se l’incapacità della diplomazia ci porterà verso una ulteriore escalation militare, le sorti del mondo saranno veramente appese ad un filo. E non solo sarà la fine della globalizzazione che, per certi aspetti, potrebbe anche essere un fatto positivo, ma anche la fine della civiltà come in passato era adombrato solo in film di fantascienza. Non ci resta che sperare nella ragionevolezza dei contendenti sul campo.
Ma tale speranza, alla luce di alcune dichiarazioni, ascoltate nel corso di una intervista alla vicepremier ucraina Iryna Vereshchuk, durante nel corso della puntata della trasmissione Otto e mezzo, su La7,pare diventare sempre più sbiadita.
Nel corso di quella intervista infatti le dichiarazioni della vicepremier ucraina, relative ai punti fermi da portare ad un eventuale tavolo di trattative sono i seguenti si possono così sintetizzare:
- Il governo ucraino solo conosce la verità ed ha il coraggio di esprimerla.
- La verità è una sola. Ovviamente quella del governo ucraino.
- Il presidente è il popolo ed il popolo si riconosce in lui.
- L’occidente deve garantire subito una no fly zone sulle centrali nucleari ucraine.
- Gli USA devono intervenire militarmente subito nella guerra in corso.
- Gli USA e la Gran Bretagna devono garantire per la libertà dell’Ucraina quando il conflitto sarà cessato.
- La Crimea ed il Donbass devono essere restituite all’Ucraina.
- Né il riconoscimento delle Repubbliche del Donbass, né della Crimea, né la neutralità della Ucraina posso essere portate sul tavolo di una eventuale trattativa per la fine della guerra.
Appare evidente a tutti che su una tale base un eventuale negoziato non potrà neppure prendere l’avvio. Ma la risposta della vicepremier è stata secca e convinta, quasi arrogante:” L’occidente deve prendersi quelle responsabilità che non si è preso in passato e che la Russia va fermata adesso, perché il conflitto tra essa e l’occidente ci sarà in ogni caso.”
Parole che hanno fatto, di certo, correre un brivido lungo la schiena dei presenti in studio che hanno cercato di far presente che una tale intransigenza non avrebbe mai permesso il dialogo necessario per giungere al cessate il fuoco. A quel punto è apparso chiaro che a spingere l’azione e le decisioni dei responsabili ucraini è uno strano fanatismo, una mistica del sacrificio. È stato come se un brandello di medioevo avesse preso a ballare nell’atmosfera dello studio resa gelida dalla sicurezza con cui quella donna esprimeva tali pareri estremi.
Parole con cui è sembrato di capire che l’intenzione di Zelens’kij è quella di andare diretti allo scontro finale con la Russia, convinto che la verità sia tutta dalla sua parte. Ci è sembrato di capire che, sebbene noi occidentali ci siamo schierati tutti contro quello che ci è apparso il cattivo, cioè Putin ed a favore dei poveri aggrediti, cioè gli ucraini, quelli che si scontrano in questi giorni sulla terra ucraina son in realtà due nazionalismi irriducibili e che la loro estrema rigidità rischia di risucchiarci tutti in un fatale gorgo finale.
L’episodio dovrebbe far riflettere tutti coloro che si sono trovati coinvolti in questa assurda guerra. Assurda oggi ci pare, da qualunque parte del fronte la si guardi. Quella che più latita sui campi dello scontro sembra essere la ragione. E, come ben sa ognuno, il sonno della ragione genera mostri.
https://creativecommons.org/licenses/by/4.0
Già fatto, ma, forse cancellato: da chi ?