-di Michele Bartolo-
Il piano di alienazione degli immobili pubblici approntato dalla Provincia di Salerno ricomprende anche il Palazzo che ospita l’Archivio di Stato, sito in piazza Abate Conforti. Un edificio ricco di storia ma, secondo quanto dichiarato dai vertici dell’Amministrazione, all’epoca dell’inclusione dell’edificio tra i beni alienabili, la Provincia deve interpretare un nuovo ruolo ed organizzare l’ente per svolgere al meglio il ruolo di “Ente di servizio”.
Se dobbiamo dar credito al tenore letterale delle affermazioni riportate, evidentemente non si tratta di un servizio pubblico, ma probabilmente di un servizio per altri fini e con finalità dettate dalla meno nobile esigenza di far cassa.
Servizio pubblico, infatti, sarebbe quello di tutelare il patrimonio storico, artistico e culturale della città. Stiamo parlando, infatti, non di un semplice immobile che fa parte del patrimonio disponibile di un ente pubblico, ma di un edificio che custodisce un patrimonio immenso. Invece, nell’ottica dei nostri amministratori, si tratta semplicemente di un bene immobile non strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente. Ne consegue, pertanto, che viene inserito nel patrimonio disponibile e se ne dispone la destinazione urbanistica.
Una vera e propria oscenità!
La Provincia di Salerno, secondo le stime di esperti del settore, con la decisione di porre in vendita l’Archivio, crede di ricavare un profitto di sedici milioni di euro o giù di lì. Invece, i miopi gestori della cosa pubblica non comprendono che il vero e proprio tesoro della provincia campana è costituito dalla straordinaria ricchezza custodita nell’Archivio di Stato, istituito nel 1934.
Prima di tale epoca, infatti, l’edificio aveva sempre ospitato uffici giudiziari: già nel XV secolo sede della Regia Udienza, una magistratura risalente al periodo aragonese, poi sede del Tribunale di Prima Istanza e della Gran Corte Criminale. Dopo l’Unità d’Italia ha ospitato il Tribunale Civile e Correzionale e la Corte di Assise. Quando, nel 1934, gli uffici giudiziari si trasferirono nel nuovo Palazzo di Giustizia, l’antico edificio divenne sede dell’Archivio Provinciale (in seguito Archivio di Stato), alloggiato, sino a quel momento, nel Palazzo d’Avossa in via Botteghelle. Insomma un pezzo di storia della città.
Oggi, come dicevamo, rappresenta un luogo in cui si conserva una documentazione quasi sterminata. Circa centomila pezzi di documentazione cartacea e più di mille pergamene, oltre ad una biblioteca di circa ventiquattromila volumi.
Per ricostruire le vicende dell’Antico Regime, del decennio francese, della Restaurazione e del periodo post-unitario non si può davvero prescindere dai fondi dell’Archivio. Inoltre i documenti ivi custoditi raccontano, tra i vari, il terremoto del 1980 sino ad arrivare alle corti ducali di Amalfi e di Nocera dei Pagani ed alle corti regie di Positano e di Ravello, risalenti al XVI secolo.
Tra i documenti dell’Antico regime (fino al 1806) vi sono gli atti delle Corti locali, della Regia Udienza Provinciale, del Catasto e del Catasto onciario. I documenti del periodo napoleonico e della Restaurazione comprendono gli atti dell’Intendenza, delle magistrature giudiziarie, del Catasto murattiano e i documenti demaniali. Del periodo post-unitario fanno parte i documenti relativi alla Prefettura ed alle Sottoprefetture, all’ordinamento giudiziario, all’Intendenza di Finanza, al Genio Civile, al Provveditorato agli Studi ed al Subeconomato dei benefici vacanti.
I Fondi di provenienza non statale comprendono protocolli notarili, archivi comunali, dell’Amministrazione Provinciale, delle corporazioni religiose, archivi privati e l’archivio del Collegio medico che, a differenza della celebre Scuola medica, si occupava di conferire i gradi accademici e di vigilare sui medici e sui farmacisti. La biblioteca dell’Archivio, come già evidenziato, nel corso del tempo è cresciuta specializzandosi sempre di più nella storia dell’Italia meridionale. Raccoglie, infatti, materiali e pubblicazioni relativi alla storia locale ed alla storia del Mezzogiorno, sia tramite acquisti che per i doni degli stessi autori. Non va dimenticato, inoltre, che nel Palazzo medievale, al piano terra, si conserva la cappella di San Ludovico con gli affreschi del XIII secolo, aperta al pubblico dopo i lavori di restauro conclusi nel 2009.
Tutto questo, quindi, deve essere messo in vendita? Sembra irrilevante, infatti, la circostanza che i documenti dell’archivio non saranno più consultabili, come anche la mortificazione della stessa storia di questo prestigioso ed antico edificio, destinato ad essere vittima dell’assassinio costante e continuo degli spazi pubblici dedicati al sociale ed alla cultura.
La Provincia, per la verità, sarebbe tenuta alla manutenzione straordinaria, che in realtà non avviene, nonostante l’Ente riceva i soldi dei contribuenti e quindi di tutti i cittadini a tale scopo. E’ indubbio, quindi, che si stia perseguendo una politica di negazione della nostra storia e, qualora l’alienazione dovesse essere malauguratamente confermata, essa costituirebbe un attacco alle radici della cittadinanza e un piano scellerato che non si sa quali conseguenze potrebbe avere.
L’Archivio rappresenta il popolo salernitano e campano in generale e strapparlo dalle mani di tutti per darlo nelle mani di uno solo priverebbe la città di uno dei luoghi identitari di Salerno, nonostante si predichi a parole l’intenzione di valorizzare e promuovere il nostro enorme patrimonio culturale.
Il nuovo corso salernitano, lo sviluppo dell’idea di Salerno città turistica, le azioni mirate per riscoprire le nostre straordinarie bellezze, non sempre adeguatamente utilizzate, non contemplano il salvataggio di un Palazzo storico, nel quale ci si reca quasi esclusivamente per studiare dei vecchi documenti.
E’ necessario, allora, che tutti i cittadini salernitani, le associazioni locali, gli amanti della cultura ed i convinti custodi della cosa pubblica si mobilitino per impedire che lo scriteriato progetto di alienazione si concretizzi. La normativa attualmente vigente, infatti, consente che gli Enti pubblici possano alienare beni immobili, ma la regola vale solo per i beni immobili facenti parte del Patrimonio disponibile.
Quest’ultimo, quindi, è formato solo da quei beni che la Provincia, il Comune o la Regione non utilizzino a fini istituzionali ma siano invece posseduti in regime di diritto privato, in relazione al quale, appunto, diventa lecito stipulare i contratti previsti dal Codice Civile.
Ma la questione è proprio questa: può essere annoverato nel Patrimonio disponibile dell’Ente Provincia un edificio storico, di grande valenza culturale nonchè custode di un patrimonio di interesse collettivo e di grande valenza identitaria, come sopra evidenziato?
La risposta è sicuramente negativa, in quanto la finalità istituzionale di un Ente pubblico, dal punto di vista della promozione della cultura e delle radici storiche del proprio territorio, si realizza proprio nella conservazione e valorizzazione dell’Archivio di Stato che, invece, si vorrebbe parificare ad un qualsiasi edificio privato, a cui riconoscere un mero valore commerciale.
In conclusione, prendendo a prestito le illuminanti parole dello scrittore giapponese Haruki Murakami, possiamo affermare: “Rubare la storia è come rubare un parte della personalità di ognuno. E’ un crimine. La nostra memoria è composta da una combinazione di memoria individuale e memoria collettiva. Le due sono strettamente intrecciate. E la storia è la memoria collettiva. Quando questa viene rubata o riscritta, non siamo più in grado di sapere chi siamo”.
Tutti noi salernitani non vogliamo che venga sottratto alla città l’Archivio di Stato di Salerno, che rappresenta la nostra storia e custodisce la nostra memoria.
Immagine di copertina a cura dell’arch Daniele Magliano