di Giuseppe Esposito
La trappola di Tucidide, potrebbe sembrare, di primo acchito, una locuzione risalente alla storia dell’antica Grecia, del V secolo a.C., epoca in cui visse Tucidide, storico e militare ateniese che fu tra i principali esponenti della letteratura greca grazie alla sua opera principale “La guerra del Peloponneso”. Quest’opera è stata insieme a quella di Esiodo tra le principali fonti cui gli storici hanno attinto per ricostruire molti degli avvenimenti della storia greca antica.
Ma quella locuzione non fu mai utilizzata da Tucidide il quale si limitò ad esaminare il conflitto tra Sparta ed Atene e ad analizzarne le cause. Alla base di quell’antico conflitto Tucidide pone tre elementi: l’onore, la paura e gli interessi, elementi violati dagli ateniesi quando essi, che già dominavano il mar Egeo, hanno cominciato ad intaccare gli interessi di Sparta, rompendo così gli equilibri determinatisi a seguito di quella pace che i greci avevano definito κοινὴ εἰρήνη, koinè eiréne.
Le conseguenze di quello scontro furono per Atene la perdita della propria prosperità e l’approdo dalla democrazia ad un governo oligarchico, interpretato dal consiglio dei Cinquemila che prevedeva l’esclusione dalle cariche pubbliche dei cittadini nullatenenti.
La narrazione dello storico greco è stata fonte di ispirazione per alcuni analisti politici americani. Così, in un articolo apparso sul Financial Times nel 2012, il politologo Graham Allison coniò l’espressione “Trappola di Tucidide”, riferendosi al conflitto tra USA, potenza dominante e Cina, potenza emergente. Il concetto fu poi ripreso nel suo libro dal titolo “Destined for war: can America and China escape Thucidides trap?”
La locuzione di nuovo conio sta dunque ad indicare la possibilità, per un paese dominante, di cedere alla paura di perdere il proprio predominio, in un’area, a favore di un altro stato, la cui influenza è invece crescente e, dunque, di fare ricorso alla forza, allo scopo di evitarlo.
Secondo gli analisti americani, infatti, nel nostro mondo si è venuta a creare una situazione simile a quella che oppose Atene a Sparta, da quando è avvenuto il crollo dell’URSS. Da quel momento gli USA sono stati presi dalla volontà di chiudere i conti con i loro antichi nemici sovietici e di farlo nel modo più rapido possibile. Hanno così proceduto ad accerchiare la Russia, includendo nella NATO tutti i paesi ex sovietici che fungevano da cuscinetto tra la vecchia Unione Sovietica e l’Occidente.
In questa loro progressione ad est essi hanno coinvolto anche paesi di lingua russa come quelli baltici; sono arrivati fino in Georgia ed hanno sostenuto la conquista del potere in Ucraina da parte di Zelenskij il quale, una volta eletto, ha fatto inserire nella nuova costituzione la prospettiva di aderire alla NATO.
Insomma, la politica americana è stata intessuta da tutta una serie di provocazioni alla Russia, che paese a vocazione imperialista, non ha potuto infine più sopportare, cosa riconosciuta persino dal Vaticano che ha portato il papa a parlare di un’ America che abbaiava alle porte della Russia.
Si può, pertanto affermare che Putin sia stato spinto in una vera e propria “trappola di Tucidide”, con conseguenz che nessuno è oggi in grado di valutare. Nella loro continua provocazione nei confronti della Russia, gli USA hanno bellamente ignorato gli avvertimenti di uno che di geopolitica se ne intende davvero, cioè quell’Henry Kissinger, che già nel 2014, in un articolo sul Washington Post, scriveva che l’Ucraina non sarebbe dovuto mai entrare nella NATO. Ma la schizofrenia americana, paese che non sa adattarsi ai mutamenti geopolitici in corso e non sa trovare per sé un nuovo ruolo in un mondo che tende al multipolarismo, è entrato in rotta di collisione con la Russia oltre che con la Cina, paese che si è imposto prepotentemente sulla scena mondiale da qualche decennio. Qualche tempo fa anche il presidente cinese Xi Jinping fece ricorso alla locuzione coniata da Graham Allison ed auspicò che né la Cina, né gli USA cadessero nella oramai famosa trappola.
In questo scenario terribile, anche se prevedibile, ha brillato, per la sua assenza, l’Unione europea. Gli europei si sono svegliati tardi e si sono fatti trascinare passivamente da Washington e dal presidente Joe Biden. A causa di questo ritardo e della loro eccessiva sudditanza a Washington, i vari Macron, Scholtz e Draghi sono oramai completamente ignorati da Putin e l’Europa rischia di pagare il prezzo più salato di tutti. Bisognava prepararsi per tempo con una politica estera unitaria ed anche una difesa unificata. Ora credo che sia troppo tardi e le conseguenze cominciano a mordere, in Europa e soprattutto su un paese come l’Italia, che si vede costretto a confrontarsi non solo con la guerra nel cuore dell’Europa, ma anche con il cambiamento climatico, con una pandemia che non accenna a regredire e con i prezzi di gas e petrolio oramai giunti a livelli stratosferici ed insopportabili per le nostre imprese.
Quanto a Putin, americani ed europei si sono limitati a demonizzarlo, invece di cercare di capire i motivi che sono alla base delle sue azioni. L’oligarca russo è un uomo di quasi settant’anni che vuole passare alla storia come colui che ha liberato la Russia dalla paura dell’accerchiamento, ma non ha, davanti a sé più molto tempo.
Gli occidentali, invece, trascinati da Biden, si sono illusi che imponendo delle sanzioni si potesse arrestare la guerra scatenata da Putin. Ma quelle sanzioni si sono rivelate in gran parte inefficaci e colpiscono soprattutto i popoli, sia quello russo che quello europeo. Si pensi che il 40% dell’interscambio russo avveniva con la UE e per il 30% con gli USA. Da ciò appare evidente, per quello che ci riguarda, quanto danno tali provvedimenti possano arrecare alle aziende europee, ed in particolare a quelle italiane, oltre che a quelle tedesche. In Russia, anche se il popolo accusa qualche disagio, la possibilità che esso riesca a ribellarsi a Putin e ad abbatterlo è estremamente remota.
Non resterebbe che sperare nell’azione diplomatica. Ma anche qui la diplomazia europea, vista la posizione intransigente assunta a rimorchio degli USA, è stata messa nella impossibilità di agire. Molto potrebbe quella del Vaticano, anche attraverso una interlocuzione con la chiesa ortodossa russa di quel Kirill che è convintamente al fianco di Vladimir Putin. In tutto ciò, il carisma di Papa Francesco potrebbe avere, forse, un certo ascendente sull’uomo del Cremlino.
La follia americana, in cui anche noi europei ci siamo lasciati trascinare consiste nell’idea che una Ucraina armata avrebbe potuto battere sul campo le forze armate russe. Purtroppo la risposta che oggi sembra venire dal campo di battaglia è che le sorti della guerra volgono inesorabilmente a sfavore di Zelenskij, il fantoccio montato dalla miope America.
Sarebbe ora di prendere atto della realtà e ricercare una via diversa dal confronto sul campo. L’avere illuso il popolo ucraino sarà una colpa che difficilmente la politica americana potrà cancellare. Kissinger è tornato ad esprimere il proprio parere ancora una volta a Davos e bisognerebbe che, stavolta, a Washington, cominciassero a dargli ascolto ed a studiare seriamente una proposta da avanzare ai russi per porre fine al massacro.
Non si può più aspettare e giocare sulla pelle dell’intero popolo ucraino. Bisogna prendere atto di aver fatto scattare la famigerata trappola di Tucidide e mettervi rimedio, prima che sia troppo tardi. Infatti il tempo non manca solo a Vladimir Putin, ma comincia a mancare anche a noi, immersi in una moltitudine di problemi di assai difficile soluzione. “Fate presto!” bisognerebbe tornare a gridare sulle pagine dei giornali. Ma purtroppo la stampa italiana è completamente asservita e nessuno può davvero sperare che essa si faccia prendere da un soprassalto di dignità.