Il confronto di solito è, e dovrebbe essere, una pratica comune nelle relazioni interpersonali, nel lavoro e in molte altre aree della vita, dove le persone si dovrebbero confrontare per prendere decisioni, risolvere conflitti e migliorare le proprie conoscenze e competenze.
In quest’ottica, il confronto è essenziale per la crescita personale e professionale, per lo sviluppo di idee e per la cooperazione tra individui e gruppi. Pertanto, il confronto ideale sarebbe quello che avviene in un clima di rispetto reciproco, empatia e apertura mentale, ma, molto spesso, e in questo momento in modo particolare, questa condizione è difficile da raggiungere perché le emozioni, i pregiudizi, gli egoismi e le differenze culturali lo ostacolano portandolo a conflitti piuttosto che a comprensione.
Alla luce di questo mi sento di affermare che il confronto, molto spesso, assume la funzione negativa di auto sabotaggio piuttosto che quella positiva di punto di partenza per spronarsi a migliorare e a cercare soluzioni condivise.
Proprio a causa di questo approccio tossico il confronto civile in politica in questo periodo è più un’ utopia che una realtà perché inquinato da strumentalizzazioni e ideologie di parte che, con la copertura dei media e la disinformazione sui social media, hanno esasperato la polarizzazione, diffondendo narrazioni parziali e provocatorie che hanno portato ad uno scontro di opinioni più acceso.
Basti pensare a quello che sta avvenendo nella guerra tra Russia e Ucraina e quella tra Israele e Hamas, gli Huthi, gli Sciiti gli Hezbollah e l’Iran o le manifestazioni dei gruppi pro Palestina e pro Israele in Europa e in America che, invece di cercare di trovare attraverso un confronto civile il modo per superare i conflitti, continuano a radicalizzarsi su posizione di violento antagonismo tanto da arrivare in Italia all’aberrazione di manifestare esibendo cartelli dove tra gli altri si accusava la senatrice Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di concentramento tedeschi di Auschwitz, di essere una spia Sionista.
Ma l’empasse è dovuto anche al comportamento delle istituzioni Internazionali (ONU)che difronte a tutto ciò sono ambigue o silenti, senza far niente affinché il confronto non sia visto come un momento di scontro ma come uno strumento fondamentale per la ricerca della verità, il progresso del pensiero e il dibattito etico e sociale.