di Luigi D’Aniello-
Purtroppo, oggi, la maggior parte della nostra classe politica è costituita da dilettanti allo sbaraglio, gente arrivata al Parlamento senza aver fatto alcuna gavetta né nella pubblica amministrazione e né nella scuola dei partiti, gente questa che, o non ha le idee chiare su ciò che vuole, o è in malafede: gente che nega quello che ha affermato ieri e che cambia alleanza da un giorno all’altro.
Di esempi ne potrei citare all’infinito, ma mi limiterò a parlare del bailamme che stanno facendo sull’Autonomia differenziata. Mi chiedo: come si può essere contro l’autonomia differenziata e allo stesso tempo essere favorevoli al federalismo fiscale? Federalismo questo già ampiamente praticato. In Italia se ne è cominciato a parlare fin dagli anni ’90. Il governo di centrosinistra guidato da Giuliano Amato introdusse il disegno di legge nel 2001. Questa riforma mirava a dare maggiore autonomia finanziaria agli enti locali e a ridefinire il rapporto tra stato centrale e regioni, con l’obiettivo di garantire una maggiore autonomia finanziaria a queste ultime e agli enti locali e di rendere più efficienti e sostenibili i servizi pubblici.
Ma il dibattito su questo tema è continuato per molti anni, con sviluppi significativi anche nei governi successivi. Il momento cruciale della sua attuazione è stato con l’approvazione della Legge 42/2009, conosciuta come “Legge delega in materia di federalismo fiscale”, da parte del governo di Silvio Berlusconi. Questo Governo era in carica durante la XV legislatura della Repubblica Italiana: la legge riformava il sistema fiscale italiano e introduceva principi di federalismo fiscale e autonomia tributaria per le regioni e gli enti locali, stabiliva che le Regioni potessero avere maggiori competenze in materia fiscale, permettendo loro di riscuotere e gestire tributi. Ciò ha permesso una maggiore personalizzazione delle politiche economiche e sociali a livello locale, rispetto al sistema centralizzato, permettendo di adattare le politiche fiscali alle esigenze specifiche di ogni regione ed ha promosso una maggiore efficacia nella gestione delle risorse e una maggiore efficienza economica.
Inoltre, questo ha favorito la concorrenza fiscale tra le diverse regioni, spingendo i governi locali ad adottare politiche fiscali competitive per attrarre investimenti e favorire lo sviluppo economico. Tuttavia, il federalismo fiscale, specialmente dove la classe dirigente è stata incapace, per non dire corrotta, ha presentato degli svantaggi creando disuguaglianze economiche con le regioni dove i governanti sono stati più onesti e all’altezza della situazione.
Comunque, tornando al discorso sull’Autonomia Regionale differenziata, oso dire che non vi è niente di nuovo sotto il sole in quanto la Costituzione Italiana, promulgata nel 1948, già prevedeva una forma di stato regionale e introduceva il principio di autonomia delle Regioni.
Questa è un modello di organizzazione amministrativa che consente alle regioni che lo richiedono, dopo un negoziato con il governo centrale di avere una certa indipendenza e potere decisionale rispetto ad alcune delle competenze dello Stato. Infatti, l’articolo 116 della Costituzione recita che le regioni a statuto ordinario possono chiedere più autonomia su alcune materie, ma dice anche che è compito della legge stabilire i principi e le procedure da rispettare per assegnare questa maggiore autonomia.
L’articolo 117 aggiunge poi che alle regioni spetta il potere di fare le leggi su tutte quelle materie che non sono di competenza «espressamente riservata» allo Stato. È questo un sistema in cui si concedono alle Regioni poteri e responsabilità legislative e amministrative specifiche, che possono variare da regione a regione. Ciò permette che le decisioni vengano prese da chi è più vicino ai cittadini, inoltre la legge nulla toglie alle regioni del Sud, anche perché lo Stato ove si creano grosse disparità tra alcune Regioni interverrebbe con aiuti finanziari, anzi, ne responsabilizzerebbe gli amministratori.
E poi lo status quo non ha affatto consentito di ridurre il divario in termini di reddito e di servizi fra le diverse regioni e aree del Paese; c’è da dire inoltre che da noi l’autonomia regionale è già stata attuata da anni nel Trentino-Alto Adige, nella Valle d’Aosta e in Sicilia ,queste regioni offrono esempi, anche se diversi ,di come l’autonomia possa essere interpretata e messa in pratica. L’esperienza di queste regioni evidenzia la necessità di un equilibrio tra autonomia e responsabilità, fondamentale per garantire non solo la governabilità, ma anche il benessere dei cittadini e lo sviluppo equo delle comunità locali.
L’autonomia regionale permette un decentramento del potere, portando le decisioni più vicino ai cittadini e alle loro necessità specifiche per cui le regioni possono sviluppare politiche e strategie che rispondano alle caratteristiche culturali, sociali ed economiche locali, promuovendo un migliore adattamento alle specifiche esigenze favorendo una maggiore partecipazione dei cittadini nei processi decisionali locali, aumentando il senso di appartenenza e rappresentanza.
Inoltre, le regioni autonome possono essere laboratori di innovazione, sperimentando politiche e pratiche che possono poi essere adottate a livello nazionale.
Sicuramente l’autonomia regionale presenta un insieme complesso di vantaggi e svantaggi perché, se da un lato offre opportunità di miglioramento nella governabilità e nella rappresentanza dei cittadini, dall’altro lato può portare a disuguaglianze tra le diverse regioni, in particolare se alcune di esse hanno risorse economiche e competenze migliori di altre.
Comunque come ogni cosa, la chiave per un’economia regionale di successo risiede sempre nella capacità di chi ci governa di bilanciare le necessità locali con l’interesse collettivo e la cooperazione tra i vari livelli di governo.
Mi chiedo… ma qui da noi abbiamo una tale classe politica?