-di Giuseppe Esposito-
Che il presidente russo Vladimir Putin sia un individuo cinico e spregiudicato è fuor di dubbio, ma occorre tenere a mente le sue origini. Egli è il prodotto di quella nomenclatura che ha governato l’Unione Sovietica dalla sua nascita, nel 1917 fino alla fine che, nella memoria collettiva, coincide con la caduta del muro di Berlino nel 1989. Putin è un ex dirigente sovietico cresciuto alla stessa scuola di Stalin, di Berija, di Molotov o di Andropov, personaggi spregiudicati che hanno commesso nella loro carriera politica i più efferati delitti nei confronti dei loro avversari, omicidi e deportazioni. Putin è il risultato di quel modo di intendere la politica e di agguantare il potere.
Se ci mettiamo ad osservare la recente crisi ucraina da questo punto di vista, potremmo anche ipotizzare che la guerra mossa da Putin al vicino paese sia parte di una più complessiva strategia che coinvolge non solo la Russia, ma anche altri paesi dell’Asia e del Medio Oriente. In essa al sogno imperiale di Putin che vuole ricostruire una Russia imperiale, si sommano gli obbiettivi di altri paesi il cui obbiettivo è quello di rovesciare l’assetto del mondo quale abbiamo fino ad oggi conosciuto e di sostituirlo con un altro assetto, che prescinda dall’Atlantismo e dal predominio degli Stati Uniti.
Alleati in questa sorta di rivoluzione antiamericana sono di certo paesi che vanno dalla Cina ai paesi arabi.
La Cina ha infatti tenuto, sin dall’inizio, un atteggiamento assai ambiguo sulla crisi russo-ucraina e durante i Giochi Invernali olimpici, organizzati proprio in quel paese, ha visto l’incontro tra Xi Jinping e Putin. Qualcuno ipotizza che il presidente russo, sebbene avesse già tutto pronto per sferrare l’attacco contro l’Ucraina, abbia accolto l’invito dei cinesi a rispettare la tregua olimpica per non guastare loro la festa. Infatti l’inizio dell’invasione russa è avvenuto il 24 febbraio a soli quattro giorni dalla cerimonia di chiusura dei giochi cinesi.
Quanto ai paesi arabi che hanno sempre avuto stretti legami con gli Stati Uniti, in occasione dello scoppio della crisi in Ucraina, hanno cercato di mantenere una posizione di equidistanza tra Mosca e Washnigton. Il motivo di tale scelta va ricercato nel fatto che negli ultimi anni, a fronte di un certo disimpegno americano nell’area essi hanno stretto rapporti commerciali e militari sempre più stretti con la Russia di Putin ed hanno cercato di allargare la loro rete di alleanze in Asia.
Un altro sintomo preoccupante è dato dal fatto che al dollaro, che è stato da sempre la moneta base del commercio petrolifero, al punto che è stato coniato il nome di petrodollaro, da qualche tempo i paesi produttori dell’oro nero hanno accettato di affiancare anche lo yuan cinese.
Bisogna quindi rendersi conto che ci si trova nel bel mezzo di un mutamento epocale, una rivoluzione tendente a spostare l’asse della politica mondiale più ad est e che presuppone la fine del predominio americano.
In questo contesto Putin, spinto anche dai suoi nostalgici sogni di natura imperialistica, potrebbe anche avere accettato di fare da testa di ariete in questo assalto alla fortezza dell’Occidente.
Sulla base di queste considerazioni appare, quantomeno, paradossale che, da ogni parte si invochi l’intervento cinese nel ruolo di mediatore nella crisi in atto.
Un mediatore deve svolgere un ruolo super partes ed in questo momento alla Cina con la sua politica imperialistica, il ruolo non è assolutamente confacente.
Le probabilità che si giunga, quindi, a breve, ad un cessate il fuoco appaiono piuttosto ridotte, col rischio che Putin possa fare in Ucraina tabula rasa.
Quel ruolo avrebbe potuto essere assunto dall’Europa, o meglio dalla Unione Europea, ma essa ancora una volta ha dimostrato di essere divisa, al suo interno in un coacervo di paesi dagli interessi divergenti. Invece di muoversi unitariamente sul piano diplomatico, abbiamo dovuto assistere ai velleitari interventi di un Macron o si uno Sholtz, rappresentanti di paesi che da soli non hanno nessun rilievo politico a livello mondiale.
L’Europa ha accettato senza alcuna esitazione l’imposizione di sanzioni alla Russia, principio sacrosanto, quella di indebolire l’aggressore di una paese libero ed indipendente. Tuttavia, l’aspetto sconcertante è che nessuno si è preso la briga di verificare i danni che tali sanzioni avrebbero arrecato ad alcuni paesi della compagine occidentale, paesi come l’Italia la cui economia, già messa a dura prova dalla pandemia rischiano di infilarsi in un pericoloso tunnel recessivo.
Si punta al default della Russia di Putin e si rischia invece quello dei paesi mediterranei, ma soprattutto dell’Italia. L’idea di sopperire a questi danni creando il tante volte invocato debito comune trova, come al solito l’opposizione dei paesi del nord Europa.
Appare allora evidente che, se nemmeno di fronte alla seria crisi in atto l’Europa riesce a superare le drammatiche divisioni interne, quello che fu il sogno degli estensori del Manifesto di Ventotene, resterà tale: un sogno sognato da pochi ed ostacolato dagli egoismi particolari.
Anzi nella impossibilità di condurre una seria ed efficace azione diplomatica, l’incendio appiccato da Putin rischia di propagarsi ad altri paesi e di portare alla fine verso un nuovo conflitto globale.
Quel gas e quel petrolio russo nei riguardi del quale l’Occidente ha posto l’embargo sarà assorbito infine dalla Cina e servirà da propellente per il suo ulteriore sviluppo, base per la sua politica imperialista ed aggressiva. Mala tempora currunt et peiora parantura.
Il tramonto dell’Occidente sembra quasi, a questo punto un destino annunciato, se l’Europa non si risveglia e si decide di andare ad occupare il posto che le compete nel mondo. Il tempo delle divisioni e delle indecisioni è finito. Siamo confrontati ad una sfida del tutto nuova e rispetto alla quale ci siamo presentati impreparati. La miopia dei nostri governanti rischia di rivelarsi fatale.
Quanto alla presunta follia di Putin essa appare più improbabile di una profondo sentimento di rivincita contro quell’occidente, da lui, ritenuto il colpevole del tramonto dell’impero sovietico. Questo suo atteggiamento può fungere da catalizzatore per le reazioni di tutti quei paesi che aspirano alla fine dell’attuale ordine mondiale e sono stanchi del predominio di una potenza, quale gli Stati Uniti, che hanno, da sempre avuto, la pretesa di esportare la democrazia, sulla bocca dei loro cannoni.
Da questo punto di vista occorre ricordare come le guerre suscitate dai vari presidenti USA, non hanno mai toccato la nostra sensibilità perché avevano luogo in posti assai lontani da noi. Da questo punto di vista appare paradossale il Nobel per la Pace, conferito ad Obama all’inizio del suo mandato, quell’Obama che al modo stesso dei suoi predecessori ha sostenuto guerre in Libia, nello Yemen ed in Afghanistan.
Ma adesso il conflitto in corso in Ucraina assume un significato assai diverso e foriero di conseguenze difficilmente valutabili. Può essere il preludio al tramonto dell’Occidente e l’inizio di un periodo di nuova e pericolosa instabilità globale. Nel nuovo assetto non vi sarà alcuna camera di compensazione per i conflitti che sorgeranno tra i molteplici attori sulla scena mondiale. L’ONU, così come è oggi concepita ha esaurito la sua funzione ed il futuro appare piuttosto incerto e preoccupante.
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