Il Presepe napoletano: il valore simbolico del mulino a vento

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di Giuseppe Esposito-

Procediamo attraverso i sentieri del nostro presepe napoletano. Dopo Benino incontriamo il Mulino. Normalmente è riprodotto un mulino a vento con le sue pale disposte a croce che, allo stesso modo  di Benino e del successivo edificio che è il Castello di Erode, è posto in alto, molto lontano dalla grotta della natività ed all’inizio del cammino che porterà alla mangiatoia.

Il Mulino come ogni altra delle figure del presepe adombra un significato e, per meglio dire, una serie di significati. Il primo richiamo, ci viene dalla disposizione della pale che richiamano la croce e dunque la passione di quel Cristo che si è appena umanato, poco più in basso nelle luce della grotta. Ma il moto delle pale sta anche ad indicare il lento scorrere del tempo e la precarietà della vita. Il lavoro che si svolge nell’edificio indica invece il duro lavoro che l’uomo deve compiere su se stesso per liberarsi di tutte le impurità, di tutte le scorie che gli impediscono di volgersi al divino, così come avviene ai chicchi di grano.

Ora di fronte a quell’evento senza precedenti in cui l’eterno incrocia il tempo umano quest’ultimo si è arresta. Anzi, nei giorni che precedono l’evento, esso ha preso addirittura a scorrere al contrario. Questo tempo sospeso è stato interpretato, da alcuni autori, in maniera originale. Tra questi occorre ricordare il maestro Roberto De Simone che ha recuperato nei suoi tanti anni della di  attività il patrimoni culturale, teatrale e musicale della tradizione campana, riscoprendo il natale napoletano e favorendone la sua diffusione.

Roberto De Simone ci ricorda che la tradizione è lo scrigno della memoria ma anche l’immagine del mutare della nostra identità al fluire delle varie epoche. Il Natale- afferma, De Simone- affonda le radici in epoche remote, antecedenti la nascita di Cristo. Gli uomini di quel tempo erano atterriti dalle tenebre e dal buio dell’inverno e temevano che il calore e la luce potessero non tornare.  Per esorcizzare le proprie paura e favorire quel ritorno essi officiavano dei riti propiziatori tra cui la rottura simbolica del tempo, nella speranza che un nuovo tempo potesse avviarsi più favorevole, più giusto e più equo. Tracce di tali riti sono riconducibili all’usanza di tagliare a pezzi il capitone o l’anguilla o nel consumare determinati tipi di dolci quali gli struffoli o i susamielli dal caratteristico aspetto serpentiforme. Il serpente ci riporta alle epoche antecedenti la nascita di Cristo, alla religione pagana ed al dio Apollo, uno dei più importanti della mitologia greca. Egli fu visto, nella tarda grecità ed a Roma, come il simbolo del sole, portatore della luce, in quanto auriga del carro del sole. Una delle prime imprese da lui compiute, poco dopo la sua nascita, fu quella di uccidere un terribile serpente di nome Pitone che era a guardia di un luogo misterioso ove giaceva un a pietra che segnava l’ombelico del mondo. Come si vede i richiami del Natale a tradizioni molto più antiche sono frequenti. E se ne incontrano spesso anche nella rievocazione della Natività che il presepe rappresenta.

Ma torniamo ora al nostro Mulino, le cui pale forniscono l’energia necessarie alla macina per schiacciare il grano e produrre la farina. Essa, col suo colore bianco richiama il pallore dei morti e, dunque, il mondo dell’aldilà. Eppure la simbologia associata alla farina è duplice ed i suoi significati sono addirittura opposti. Se essa, per un verso, a causa del suo colore richiama il pallor della morte è anche l’elemento che serve per preparare il pane, l’alimento cioè che è indispensabile alla vita. Ma nella liturgia della chiesa il Cristo è definito “Pane della vita”, dunque ecco che la farina per la sua funzione ci ricorda il Cristo, quel Cristo che nella rappresentazione che è ora davanti ai nostri occhi si è incarnato e si è fatto uomo, per la nostra salvezza.

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