Il paradosso di una società tecnologica

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di Giuseppe Moesh-

Penso che una delle più significative conquiste delle donne del secolo diciannovesimo possa essere la rivendicazione del diritto allo studio e al voto. Studiare fino a quel tempo era garantito quasi esclusivamente alle donne benestanti e appartenenti a famiglie al potere, e questo ha fatto sì che solo qualche raro rappresentante del gentil sesso si vedesse apparire tra i banchi delle Università in quanto normalmente le donne venivano educate in casa da precettori.

Sono passate alla storia le prime che donne che si occuparono di materie scientifiche, mentre normalmente il “ruolo vocazionale” che si addiceva loro era quello dello studio delle materie umanistiche classiche, il cui sbocco naturale poteva al massimo essere nell’insegnamento nelle scuole primarie, e meno frequentemente nelle superiori: in fondo si trattava di dar loro la possibilità di esprimersi come “madri bis” ovvero il ruolo che poteva essere consentito ad una donna.

La cosa interessante e positiva di tale situazione fu che le donne che si cimentavano in quelle avventure erano le punte di diamante della società, spavaldamente orgogliose delle loro capacità e con una gran voglia di fare. Qualcuna un po’ bigotta e saldamente ancorata a valori tradizionali ma quasi tutte consce della loro missione.

La penna di De Amicis ha saputo tracciare in maniera sublime la figura della Maestrina dalla Penna Rossa, al secolo, Giuseppina Eugenia Barruero, nel libro “Cuore”, ma anche la “Maestrina degli operai”, opera poco nota dello stesso autore, scritta nel periodo in cui pensava di aderire al pensiero socialista, che rappresenta una magnifica descrizione delle condizione di una scuola di periferia della Torino industriale, dove una mezza dozzina di insegnanti, un solo uomo, tracciano un quadro strepitoso delle caratteristiche dell’istruzione di quel tempo.

La figura dell’insegnante era prestigiosa, e fino ai primi anni del secondo dopoguerra ed era vista con rispetto dalle famiglie e dai politici. L’atteggiamento era trasmesso ai figli discenti che erano in classe con l’atteggiamento di chi si trovava di fronte a pezzi delle istituzioni rispetto alle quali si sentiva il bisogno di levarsi in piedi quando il maestro entrava in classe.

Non era diversa la situazione per quanto riguardava l’Università nella quale i professori ordinari erano poche migliaia, che venivano definiti Baroni per il potere che detenevano che si manifestava anche nei ruoli professionali che ricoprivano.
Dopo gli eventi che caratterizzarono il sessantotto, slogan come “Esame garantito, Barone sei finito” oppure 18 politico con esami sostenuti in gruppo, si crearono le condizioni per una produzione industriale di laureati di bassa qualità la cui conseguenza fu che i migliori furono assorbiti dalle imprese che avevano bisogno di personale qualificato, lasciando a casa i meno preparati o affidando loro mansioni poco significative.

Si pose allora un problema che andò sotto il nome di disoccupati intellettuali, ovvero soggetti ignoranti in possesso di un titolo di studio universitario, che tra l’altro reclamavano una collocazione adeguata al proprio status di laureati.

Lo Stato dovette farsi carico di questo problema e tra l’altro la situazione coincise con l’elevazione del tempo di durata della scuola dell’obbligo.
Molte supplenze furono offerte a quei soggetti disoccupati ed in buona misura ignoranti, che con la migliore buona volontà non potevano che offrire le loro mediocri conoscenza, ed una volta in cattedra pretesero una loro stabilizzazione.

Si aggiunse a questa situazione l’impostazione ideologica degli innovatori che vollero applicare le più strampalate teorie pedagogiche, riducendo drasticamente i programmi e le modalità di apprendimento, con l’aggiunta della presenza genitoriale che democraticamente interferiva con i docenti che venivano sopraffatti e per evitare di doversi trovare a competere con manifestanti spesso violenti cavalcati da politi d’accatto, tolleravano il tutto ed accettavano la prevaricazione, abbassando ancora di più il livello culturale e sfornando licenziati di livello tanto basso che anche per l’Università si pose il problema di come trattare questa massa di ignoranti, risolvendo la cosa con il tre più due, a cui solo le facoltà di medicina e di giurisprudenza seppero opporsi per evitare lo sfascio di settori vitali.

Si aggiunga a tutto questo che alla crescita del numero di docenti non corrispose una pari crescita del monte salari per cui si svilì sempre più la figura del docente, che era vista come un poveraccio che guadagnava poco però lavorava poco, diciotto ore settimanali, e faceva tre mesi di vacanze all’anno.

Tuttavia la società cresceva e la necessità di diplomati e laureati di qualità si faceva sentire per cui i più abbienti risolsero il problema affidando i propri pargoli alle scuole private, e all’istruzione all’estero, ampliando il divario tra le classi sociali e all’interno delle città le scuole buone del centro dove venivano mandati i migliori insegnanti e quelle delle periferie dove andavano quelli più giovani alle prime armi, in ambienti sempre più difficili che abbisognavano di gente di polso e preparata.

Il colpo di grazia definitivo lo ha data l’evoluzione della struttura sociale, che ha mitizzato il successo e la ricchezza che arriva più facilmente divenendo un influencer, o facendo parte dell’élite tecnologica.

Molti hanno quindi optato per medicina o ingegneria o informatica, e gli altri per le facoltà umanistiche, dalle quali arrivano gli insegnanti delle scuole primarie.

La marginalità ottocentesca delle donne aveva spinto quelle prime intellettuali a dedicarsi alla formazione delle nuove classi dirigenti e all’affrancamento degli emarginati; la crescita economica e tecnologica spinge ad abbandonare la professione del docente, supportata dalla miopia dei politici incapaci di capire quale catastrofe si para davanti ai nostri occhi.

Lo sviluppo tecnologico, e la decrescita demografica stanno creando paradossalmente le condizioni per le quali le future generazioni saranno così ignoranti da non essere in grado di sostituire la classe dirigente attuale se non importandola da Paesi emergenti, facendo passare il Paese a rango di feudo per le nuove potenze economiche e di nuovi servi della gleba i cittadini.

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