Il motivo della sconfitta elettorale di Kamala Harris

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di Luigi D’Aniello-

Nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti abbiamo assistito alla lotta tra la concretezza del programma di Trump e l’astrattezza di quello di Kamala Harris.
Infatti la vittoria di Trump è stata netta ed istruttiva perché la concretezza delle idee di Trump, condivisibili o meno, ha prevalso sull’astrattezza di quelle di kamala

Trump nei suoi interventi ha sempre avuto un approccio tangibile e diretto, prediligendo obiettivi quantificabili, comunicando in modo chiaro e comprensibile, evitando concetti vaghi, cercando ai problemi soluzioni immediate, fattibili senza perdersi in lunghe e farraginose discussioni teoriche.

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Trump ha promosso una politica economica basata su tagli fiscali, deregolamentazione e un forte focus sul protezionismo commerciale ritenendo che il lavoro dovesse ritornare ad essere fatto prevalentemente in America, sostenendo che durante la sua presidenza le sue politiche pre-pandemia abbiano portato a una crescita economica e a un abbassamento della disoccupazione, promettendo misure severe contro l’immigrazione illegale come ha fatto con la costruzione del  muro al confine con il Messico e con il suo approccio di “America First”.

Trump ha inoltre sostenuto il ritiro da accordi internazionali come l’Accordo di Parigi sul clima e il Nuclear Deal con l’Iran, sostenendo che questi non fossero nell’interesse degli Stati Uniti ed ha avuto un approccio distintivo rispetto a molte questioni internazionali, incluse la guerra tra Russia e Ucraina e Israele-Palestina, enfatizzando la sua preferenza per le soluzioni negoziali e il disincanto verso un coinvolgimento militare diretto, sottolineando l’importanza della diplomazia ha inoltre espresso la volontà di negoziare direttamente con i leader coinvolti, suggerendo una soluzione pacifica e portando ad esempio gli sviluppi significativi che aveva ottenuto nelle relazioni tra Israele e alcuni Paesi arabi con gli Accordi di Abraham.

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Mentre l’approccio tenuto da Kamala Harris durante la sua corsa alla presidenza è stato più teorico e concettuale, con argomenti, teorie e concetti che non sempre avevano una manifestazione tangibile, tendenti più verso l’astratto che verso il concreto, come la tanto enfatizzata riforma globale dell’immigrazione che includeva un percorso verso la cittadinanza per gli immigrati clandestini e politiche più favorevoli verso i rifugiati e i migranti.

Senza tener presente, però, che in America erano contrari a questa soluzione gli stessi immigrati di vecchia data perché ritenevano che un ingresso incondizionato di nuovi migranti avrebbe contribuito ad acuire la crisi occupazionale che gli Stati Uniti stavano vivendo. Ha poi  enfatizzando una cooperazione internazionale e il rispetto dei diritti umani nelle politiche estere proponendo un ampliamento dell’accesso ai servizi sanitari, con misure come il “Medicare for All”, per garantire una copertura sanitaria universale.

Inoltre, in quanto prima donna afroamericana a diventare vicepresidente, Harris ha posto un forte accento su giustizia sociale, diritti civili e uguaglianza, promuovendo politiche contro le discriminazioni razziali e di genere, aumento delle tasse sui super-ricchi, investimenti in infrastrutture e green economy.
Concetti, questi, molto belli ma molto astratti che si concentravano su scenari a lungo termine e sulle possibilità, piuttosto che su ciò che è immediatamente pratico per cui, difronte al pragmatismo e concretezza dei progetti portati avanti da Trump, la Harris ha perso le elezioni.

 

 

 

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