Il mare d’inferno

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-di Pierre De Filippo-

Il mare d’inverno”, cantava l’istrionica Loredana Bertè.

Qui, invece, il mare è d’inferno, come infernali per l’ambiente vengono ritenute le conseguenze dello sversamento in mare di oltre 1 milione di tonnellate di acqua radioattiva che il governo giapponese ha deciso di riversare nell’oceano Pacifico e provenienti dalla centrale nucleare di Fukushima, dieci anni fa funestata dal terribile maremoto di cui tutti abbiamo memoria.

In questi dieci anni, poco o nulla è stato fatto per evitare questo accumulo: l’acqua oceanica è servita a raffreddare i reattori nucleari e, come spesso accade, la politica ha scelto semplicemente di rinviare la decisione sul “cosa fare” di questa enorme massa d’acqua.

Fino ad oggi, fino al punto di non ritorno.

A serbatoi saturi, il governo nipponico – guidato dal poco apprezzato Yoshihide Suga – ha semplicemente pensato che “polvere eri e polvere ritornerai”, acqua oceanica eri e acqua oceanica ritornerai, solo un po’ corretta, come il caffè. Peccato che non di grappa si tratti ma di trizio.

La decisione – avallata dall’International Atomic Energy Agency, che l’ha ritenuta in linea con le pratiche internazionali – ha, immediatamente, ricevuto risposte negativa e giustamente scandalizzate da tutto il mondo dell’ecologismo e dell’ambientalismo (ambientalisti di tutto il mondo unitevi, verrebbe da dire) ma, ad ora, a ciò non ha fatto seguito alcun passo indietro da parte del governo imperiale.

Per quale motivo, le autorità giapponesi hanno ritenuto questa strada la migliore? Ancora una volta, per soldi; è, di gran lunga, la soluzione più economica, e per un Paese ad altissimo debito come il Giappone questo non è un fattore da sottovalutare.

Resta, però, come sottolinea Greenpeace, il fatto che il governo ha deciso di “ignorare completamente i diritti umani e gli interessi della gente di Fukushima e in generale del Giappone e della parte di Asia che si affaccia sul Pacifico

Il 20 aprile è stata la Giornata Mondiale della Terra.

Per usare le parole di Luise Rinser, “Dio affidò all’uomo la terra non per sfruttarla ma per proteggerla”; quanto poco abbiamo fatto nostro questo concetto è sotto gli occhi di tutti.

Ancora oggi, i combustibili fossili rappresentano l’80% dell’approvvigionamento energetico globale, causando il 75% delle emissioni totali ad effetto serra.

Come è facile immagine, queste emissioni vengono prodotte in larga parte dal mondo industrializzato, quello definito avanzato: la Cina è responsabile del 28% del totale, gli USA del 14% e l’UE dell’8%.

Venendo all’Italia, il Climate Change Performance Index ci piazza al 27° posto in graduatoria per la “protezione del clima”, dietro la maggior parte dei Paesi avanzati.

Si stima anche che, all’anno, i cosiddetti sussidi inquinanti – si pensi, ad esempio, agli aiuti ad Alitalia – valgano ancora oltre 35 miliardi (l’equivalente di una manovra finanziaria in tempi normali).

C’è ancora tanto, troppo da fare. L’UE ha predisposto un enorme piano in tal senso, il Green New Deal che prevede, tra le altre cose, la predilezione per un’economia pulita e circolare, sostegni ad investimenti green e ad alta innovatività, la decarbonizzazione del settore energetico; l’obiettivo – ambizioso e datato 2050 – è quello di raggiungere la neutralità climatica, vale a dire il completo assorbimento di tutta la quantità di carbonio emessa in ambiente.

Al fine di consentire che questa transizione avvenga ed avvenga nei tempi e nei modi stabiliti, il Recovery Fund è uno strumento di estrema rilevanza: la “rivoluzione green” rappresenta la prima voce di spesa, il principale settore di investimento perché, come spesso si suol dire, abbiamo un solo Pianeta sul quale vivere.

Gli sforzi ci sono, le programmazioni, gli incontri, i summit, i patti internazionali sono tutti momenti essenziali. Ma lunghi.

La realtà quotidiana rischia di farci perdere tutti i progressi compiuti a suon di parole.

Ai dialoghi essenziali si contrappongono le pratiche esiziali, come quella del governo giapponese. Dobbiamo stare attenti, molto attenti: in un mare d’inferno non vorrà nuotare nessuno.

“TEPCO’s Fukushima Daiichi Nuclear Power Station (02813326)” by IAEA Imagebank is licensed under CC BY-SA 2.0

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