di Claudia Izzo-
“Non mi hanno aiutato, sto cercando un posto dove farla finita…Questa notte mi troveranno dentro una tomba. Diventate la mia voce per altre Adelina…morta per morta, spero che altre Adelina avranno quello che non ho avuto io”.
Sono queste le parole che Alma Sejdini, conosciuta come Adelina in Italia, con lo sguardo deciso e intenso nel video che realizza con il suo cellulare, pronuncia la sera del 9 novembre prima di suicidarsi. Si lancia, infatti, quella stessa sera, da Ponte Garibaldi a Roma, lasciandosi cadere sulla banchina di cemento.
Muore così sul colpo l’ex prostituta albanese di 47 anni, mettendo fine alla sua terribile esistenza fatta di soprusi, sfruttamento, violenza, malattia. Ed Alma muore con un sogno accartocciato nel cuore: ottenere la cittadinanza italiana.
Ma chi è questa donna dalla vita così crudele?
Alma nasce a Durazzo. A 17 anni viene rapita dalla mafia albanese, sequestrata e condotta in un bunker dove viene picchiata e violentata ripetutamente in gruppo. Schiavizzata e costretta alla prostituzione per 4 anni, a 22 anni viene messa su un gommone e spedita in Italia dove dilaga la prostituzione albanese. Sfruttata e umiliata come tante, Adelina ha una storia che, in fondo, si confonde tra le altre.
Ma Alma, distrutta nel corpo e nello spirito, reagisce, alza la testa e collabora con la magistratura, divenendo “Adelina 113”, con chiaro riferimento al numero da comporre per le segnalazioni di emergenza. La sua testimonianza mette in ginocchio i torbidi meccanismi della mafia albanese che gestisce una grandissima fetta della prostituzione di strada in Italia: si parla di 120mila donne diventate prostitute per un fatturato che, secondo le stime, è di 3,9 miliardi di euro all’anno.
E’ così che Adelina riconosce i carnefici suoi e di tante altre donne nella sua stessa condizione. Si arriva alla denuncia di 80 persone italiane, 40 di origine albanese condannate a 15/20 anni di carcere. Adelina lavora poi come interprete per le Forze dell’Ordine a Pavia che vede coma la sua famiglia, ha testimoniato più volte in Parlamento, l’ultima volta nel giugno 2021, ha parlato in radio e tv, scritto libri, collaborato con associazioni, presenziato a dibattiti, in prima linea in campagne di sensibilizzazione contro la prostituzione. Nel frattempo si scopre ammalata di cancro al seno con metastasi. E’ invalida e nonostante ciò, da Pavia, dove la Curia le ha offerto un monolocale è costretta a raggiungere l’ospedale Santo Spirito di Roma per le cure. E’ al settimo ciclo di chemioterapia. E’stanca.
Chiede aiuto in ogni modo: ha bisogno della cittadinanza italiana indispensabile all’INPS per poterle concedere i sussidi economici, la pensione, l’accompagnamento per poter far richiesta di un alloggi popolare. Sul suo permesso di soggiorno alla voce “nazionalità” c’è scritto XXX. Adelina si oppone alla cancellazione dello stato di “apolide” e all’assegnazione della cittadinanza albanese; l’Albania è sempre il Paese che ha lasciato come prostituta nel 1996 ed in cui l’attende una sicura feroce vendetta per la sua collaborazione con la magistratura in Italia, In più, sul suo permesso per errore risulta che ha un’occupazione. Adelina chiede di essere riconosciuta come “italiana”, ne ha un disperato bisogno.
Nonostante la sua richiesta di aiuto al Presidente Napolitano, Mattarella e all’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, nonostante il suo darsi fuoco in segno di protesta lo scorso 29 ottobre innanzi al Ministero dell’Interno, Adelina è sola, è un fantasma per lo Stato italiano, vive in un limbo di precarietà, difficoltà, dolore.
Scriviamo che Adelina si suicida il 9 novembre 2021 a Roma. Ma sarà forse il caso di capire chi abbia davvero istigato Adelina al suicidio con la sua assenza? Faremmo bene a chiederci chi poteva proteggerla e non ha fatto? Chi ha lasciato inascoltato il disperato urlo di dolore di una coraggiosa donna capace di spezzare persino le catene dello sfruttamento della prostituzione? Che cosa avrebbe dovuto fare di più per meritare quell’attenzione che le era dovuta?