di Giuseppe Moesch*
Ho da sempre amato la natura anche se ho vissuto tutta la mia infanzia e l’adolescenza in una casa di città; tuttavia dall’età di sette/otto anni, grazie all’arrivo della televisione, ho vissuto tutte le più grandi avventure con la fantasia di un ragazzino immerso nelle immagini di bassa qualità e in bianco e nero dei luoghi esotici che ci venivano offerti. z2Impossibile dimenticare i pomeriggi trascorsi a vedere, durante “La TV dei ragazzi”, il documentario “Lungo le rive del fiume San Lorenzo”.
Mia nonna materna quasi ottantenne, originaria di Vitulano, nella provincia beneventana, che non credo avesse studiato oltre le medie, avida di conoscenza, davanti a quell’oggetto misterioso che era la TV, seduta in un angolo della sala ed io, da quello opposto, seduto sulla poltrona destinata a mia madre, ma che lei usava solo la sera, poiché costantemente dolorante per i postumi di un’operazione.
La natura selvaggia, gli animali feroci, gli indiani con i loro costumi primitivi e le armi da fumetto, erano una miniera senza fondo per il ragazzino curioso quale ero, infatti già dal 1956 seguivo la trasmissione “l’amico degli animali”, condotta da uno dei primi antesignani divulgatori scientifici, Angelo Lombardi. Camera fissa in uno studio con un tavolo sul quale venivano posti di volta in volta gli animali. Vestito da esploratore bianco da romanzo d’appendice con una sahariana impeccabile stretta ai fianchi da una cinta che rendeva la scena ancora più buffa. Veniva aiutato da una presentatrice, Bianca Maria Piccinino, e per rendere ancora più convincentemente esotico il programma, da un aiutante di origine eritrea, un ascaro, citato con il solo nome di battesimo Andalù, al secolo Andalù Ghezzali, che provvedeva a portare gabbie o sacchi contenenti animali raramente visti in zone d’Italia dove non arrivavano circhi e non vi erano giardini zoologici.
Quanto ho sognato di diventare un esploratore, e quanto mi sentivo stretto nell’appartamento nel quale vivevamo; il mondo che potevo esplorare era quello che vedevo dal balcone, seduto sul marmo freddo, in pantaloncini corti, le gambe a penzoloni tra le sbarre della ringhiera, e gli unici animali che vedevo, oltre a rari cani, gatti, cavalli e piccioni e canarini e i pappagallini nelle gabbie, erano gli esseri umani che si agitavano nello spicchio di universo che riuscivo ad intravedere.
Solo quando cominciai a scendere sott’acqua con i primitivi strumenti dell’epoca, addirittura le prime maschere costruite con vetri leggeri inseriti in pezzi di camere d’aria, o le piccole fionde di gomma, semplici pezzi elastici che lanciavano saette fatte con le stecche degli ombrelli, che capii cosa significasse incontrare la natura selvaggia.
Tutte o quasi le specie di pesci e di crostacei presenti nel mediterraneo erano a mia disposizione nelle acque antistati Marechiaro dove normalmente mi immergevo. Quel mare era la mia foresta vergine, dove restando spesso per ore in sospensione tra i richiami di mia madre e il freddo che faceva diventare rugosi i polpastrelli delle dita delle mani, assistevo alle interazione tra gli esseri che abitavano la scogliera, la sabbia e le praterie di Posidonia.
Devo ringraziare la Rai dell’epoca che trasmetteva quei documentari affascinanti e non credo sia stato casuale il fatto che a differenza dei miei coetanei non abbia mai chiesto di acquistare gli album Panini dei calciatori, ma ricordo ancora oggi la copertina di quello che scelsi come il mio primo album di animali, ovvero un koala arrampicato su un ramo, che teneva stretto a sé il piccolo figlio; il secondo fu una raccolta di figurine dei quadri degli Impressionisti.
Divenni poco a poco un serbatoio di notizie, forse poco sistematicamente raccolte, ma tuttavia tali da condurmi a vivere un’esperienza curiosa che oggi mi spinge a scrivere. Avevo una quindicina d’anni e durante una lezione di geografia udii la professoressa, una giovane donna supplente, di una decina d’anni più grande di noi, parlando dell’Africa, indicare tra i grandi carnivori presenti nel continente anche la tigre.
Sobbalzai perché il mio nozionistico sapere mi diceva non essere quello l’habitat naturale di quel felino, ed intervenni.
I miei compagni furono sorpresi della mia arroganza, che fu subito stoppata dalla docente che ribadì la usa posizione, di fatto tacendomi e facendomi fare una figura barbina.
La cosa ebbe un seguito in quanto a fine lezione mentre stava per iniziare quella successiva con un altro docente, mi disse che in sala professori i suoi colleghi le avevano confermato la cosa. Non solo mi aveva fatto fare una figuraccia in classe ma anche con l’altro insegnante che mi guardò con aria di sufficienza.
Ero depresso non solo per la perdita di stima da parte di tutti, ma principalmente per il fatto che ero assolutamente certo delle mie nozioni. Per alcuni giorni rimuginai su come risolvere il problema.
All’epoca non c’era internet ad aiutarmi e in casa non avevo un’enciclopedia degli animali per cui pensai di andare a chiedere una consulenza a chi poteva saperne a sufficienza.
Mi recai allo zoo di Napoli e chiesi di poter parlare con il direttore, all’epoca era il dottor Francesco Cuneo, il quale accettò di ricevermi.
Gli raccontai la cosa, gli chiesi conferma delle mie conoscenze ed in caso affermativo se avrebbe accettato di rilasciarmi una dichiarazione in tal senso.
Ricordo ancora la figura di quell’uomo una figura alta e imponente che mi disse di seguirlo ed insieme andammo nella biblioteca di quella istituzione, scelse quattro volumi dagli scaffali, li posò su un tavolo e mi disse che avrei trovato quel che cercavo in quei libri e si allontanò. Ero interdetto. Non sapevo cosa fare. Cercai nell’indice ma capii subito che non sarebbe stato facile trovare la risposta servita su un piatto d’argento per cui cominciai a leggere le prime pagine di quei libri e dopo circa due ore lo vidi rientrare a chiedermi come andasse la mia prima ricerca scientifica. Gli dissi che in quel poco tempo non ero riuscito a trovare una risposta e gli reiterai la mia richiesta di una sua dichiarazione, alla quale oppose un netto rifiuto dicendomi che avrei potuto portare con me i libri e che glieli avrei restituiti quando avessi finito.
Dopo sessant’anni sono ancora oggi grato a quell’uomo di scienza e se sono diventato quel che oggi sono, lo devo a chi ebbe fiducia in me sul piano culturale e prima ancora umano.
Dopo molti giorni di attenta lettura trovai quel che cercavo, presi degli appunti facendo riferimento a quello che avevo trovato e che confermava la mia tesi, e armato di quei libri mi presentai alla prima lezione possibile di geografia per affrontare l’insegnante.
Lasciai trascorrere la lezione e prima della campanella, chiesi la parola e tirando fuori la mia piccola biblioteca raccontai di come ero andato alla zoo e tutto ciò che era accaduto esibendo subito dopo i miei appunti e con ironia dissi che probabilmente le informazioni della docente fossero derivanti dal fatto che un potente africano era in possesso di una pelle di quel felino o che forse ella fosse a conoscenza della presenza di un esemplare di quel carnivoro allo zoo del Cairo.
Il viso della docente diventò paonazzo, prese i libri, che cominciò a sfogliare in modo compulsivo e mi chiese se poteva portarli con sé, e fu allora che sferrai il colpo di grazia dicendole di averne cura perché non miei e anzi le suggerii di mostrarli anche ai colleghi che avevano a suo tempo avallato la sua tesi.
Le conseguenze dell’episodio furono innumerevoli: in primis la crescita eccessiva della mia autostima, principalmente a causa dei miei compagni che mi considerarono una specie di eroe; in secondo luogo la perdita assoluta di credibilità della docente che da allora in poi subì comportamenti che oggi si potrebbero definire bullistici e a dire il vero oggi me ne pento; in terzo luogo da allora in poi ogni mia interrogazione divenne una certezza di successo anche quando la mia preparazione non era entusiasmante; ed infine la fama che ebbi tra gli altri docenti anche se la cosa non piacque a tutti. La scelta di inviare una giovane supplente ad insegnare in una scuola senza essere passata attraverso le maglie di una seria selezione pubblica fu la causa di quel disastro; non voglio dire che dovesse sapere tutto di tutto ma sicuramente avrebbe dovuto avere coscienza della sua funzione di docente e ricordare sia il motto socratico “So di non sapere” e la definizione cartesiana del dubbio metodico.
Credo che l’attuale condizione della vita sociale discende direttamente dal moltiplicarsi all’infinito di fenomeni quali quelli sopra descritti, e l’appiattimento verso il basso del livello medio, fatte salve fortunate eccezioni, sia l’accettazione di una scuola degradata.
L’esempio maggiore è nella politica e nella bassa qualità dei rappresentanti del popolo e nel moltiplicarsi delle condizioni di corruttela e mala gestione a cui la cronaca quotidiana ci espone.
- già Professore Ordinario presso la facoltà degli Studi di Salerno