di Giuseppe Moesch*
La vittoria di Trump è la prova più eclatante del successo e del fallimento della democrazia.
La prima considerazione da fare è relativa al numero degli elettori, intorno ai 160 milioni su circa 336 milioni di abitanti. Molti commentatori hanno sottolineato questo dato trascurando che in Europa sono stati chiamati alle urne oltre 359 milioni di cittadini.
Si sottolinea però che gli USA sono un solo Stato. Ma in realtà è una federazione di cinquanta Stati e un distretto federale, assai diversi l’uno dall’altro e con tradizioni e culture assai diverse tra di loro, mentre l’Europa è una aggregazione con poco più della metà di Stati sovrani.
I dati di cui sopra ci dicono che la sensibilità dei cittadini alle elezioni della massima carica politica di uno dei Paesi più rilevanti al mondo non è dissimile da quella europea, sebbene da noi il cittadino medio è sicuramente più informato di quello americano, in particolare su temi quali politica estera ed economia, settori nei quali per la maggioranza, i dati macroeconomici appaiono irrilevanti e valgono solo le percezioni personali relative all’inflazione o alla disoccupazione, alle varie condizioni di insicurezza percepita.
Questa doverosa premessa ci permette di comprendere il perché la maggior parte degli osservatori, interni ed esterni, abbiano sottovalutato la forza di Trump.
I due schieramenti erano stati valutati alla pari dai media, e dagli estensori delle previsioni, sulla base dei tradizionali comportamenti dei votanti nelle varie aree, tenendo in scarsa considerazione quanto accadeva nel Paese.
Il primo elemento trascurato è quello relativo al fatto che la scelta dei cittadini non era tra una miriade di potenziali candidati, bensì tra due soggetti, uno autocraticamente candidatosi nell’inerzia del proprio partito, l’altra come rimedio alla incapacità del partito democratico di eliminare dalla corsa Biden, “decotto” e “rimbambito”, che mai avrebbe potuto competere seriamente, se non in una condizione di assoluta staticità politica.
La sostituzione in corsa non poteva che essere fatta con la sua vice, che aveva dato tutte le prova della sua incapacità nel silenzio di quattro anni di assenza sulla scena nazionale e mondiale, consapevoli che priva del carisma e della notorietà necessaria per affrontare quella prova, non avrebbe mai potuto competere specialmente sulla base delle posizioni radicaleggianti che l’avevano caratterizzata in passato.
Abbiamo assistito allo scontro tra due mondi apparentemente inconciliabili: quello radical chic della Harris, dei cosiddetti intellettuali, benestanti in molti casi miliardari, opinionisti, attori, cantanti, nani e ballerine come si sarebbe detto anni orsono, convinti di essere detentori di verità assolute, portatori di ideologie ambientaliste, tutti politically correct dall’alto delle loro convinzioni e dal calduccio delle loro residenze confortevoli, o degli yacht ancorate nelle dorate località alla moda.
Nessuno di loro sembrava accorgersi degli zombi distrutti dal fentanyl e dai motivi che stavano portando tante persone a distruggere la propria esistenza; dalla disoccupazione nelle area di recente deindustrializzazione, dalla la crisi dell’auto con la concorrenza delle macchine elettriche provenienti dall’oriente, dall’espulsione di lavoratori a causa della obsolescenza tecnologica delle loro capacità lavorative, dal costo della vita crescente per l’alta inflazione prolungata in presenza di salari crescenti ma non per tutti.
La diversità socio economica tra le grandi città e le zone rurali, il crescente peso del terziario a scapito dei lavori tradizionali, la mancanza di una sanità universale sono altrettanti elementi che hanno determinato la disaffezione dei ceti popolari facendo saltare quell’equivalenza tra zone dell’industrializzazione trasformate in fasce della ruggine.
Dall’atro lato c’è stato un uomo che, a dispetto di tutti, ha proposto se stesso come campione di un sogno americano anacronistico, non più raggiunto a causa della presenza di nemici esterni e, per questo, pronto a difendere le frontiere.
I migranti e la concorrenza internazionale e interna per le scelte dei governanti democratici sono slogan efficaci conditi da complottismo, populismo e vittimismo anche per i due singolari attentati in presenza di una scarsa protezione da parte del Governo.
A questo si è aggiunto il tema delle armi e dell’aborto, ed ecco galvanizzati i propri supporter; l’orgoglio nazionale e l’apprezzamento per il “guappetiello” che non te la manda a dire e che saprà ridarti l’onore ed i benefici che ti sono stati sottratti: parole semplici, addirittura banali, che però lasciano il segno ed unificano. Sembra che nessuno se ne sia accorto, sia negli USA che in Europa e tutti hanno preferito pensare che si sarebbe avverato quello che speravano, anche perché era quello che li rassicurava nel mantenimento delle proprie posizioni spesso di rendita.
La realtà è che le valutazioni sono fatte senza tener conto del sistema di riferimento ed indicano solo le aspettative di chi le formula.
Sembra che tutti ignorino che il divenire delle società passa attraverso le istituzioni che le condizionano. Il macchinoso processo di formazione del consenso degli USA, a partire dai caucus per finire alla selezione indiretta attraverso i grandi elettori, è il sistema che limita fortemente il principio della proporzionalità.
La vittoria della Harris avrebbe avuto come significato unico il mantenimento dello statu quo, in un mondo in forte trasformazione, Trump lascia pensare alla possibilità di molti strappi che avranno forti conseguenze a livello globale, sia in termini di rapporti di forza, che di condizioni economiche.
La prima sarà ovviamente quella del confronto con gli altri “guappi” sparsi in giro per il mondo a cominciare da Putin, Xi Jinping, Erdogan, e gli altri vari capi e capetti; sanno tutti che Trump ha capacità di reazione e voglia di imporre il proprio volere con determinazione. Anche se l’Amministrazione appare solida, non si può escludere qualche colpo di testa per affermare le proprie posizioni specialmente nella prima fase del mandato, in costanza delle situazioni di guerra.
Altro campo di scontro con l’Europa e con la Cina, sarà
quello sui dazi a difesa protezionistica delle produzioni americane, oltre alla richiesta di un diverso rapporto sui costi della difesa da parte degli alleati.
Tutte queste componenti porteranno di conseguenza a dover ripensare la politica europea e dei singoli Stati, che dovranno fare scelte anche dolorose sulla distribuzione delle risorse, ma che potrebbe essere uno stimolo allo sviluppo di una Europa politicamente e anche militarmente più coesa.
In ultimo, credo che sia da considerare come la sconfitta della Harris in termini presidenziali, sia dolorosa, ma sarà letta come un piccolo inciampo sulla prossima certa vittoria dei valori da essi rappresentati, visti i voti raccolti.
Il racconto sarà assai simile a quello italiano della Schlein, diventata segretaria del suo partito attraverso il gioco delle tre carte che ha portato a sovvertire la volontà degli iscritti, ed imporre ad un partito e all’intera sinistra di rinnegare i propri valori, per imporre un modello da miliardari annoiati.
Ultimo elemento di riflessione è quello relativo alla figura di Elon Musk, il miliardario padrone di Tesla e leader del mondo dell’intelligenza artificiale, che ha mobilitato grandi masse di giovani.
La sua intuizione gli ha permesso di assicurarsi un ruolo importante nella prossima amministrazione, ma principalmente di candidarsi alle prossime presidenziali, con la potenza finanziaria e quella informatica, con il controllo sullo sviluppo dell’economia spaziale e la capacità di condizionamento di tutte le società tecnologicamente avanzate, ed è forse questa la componente più inquietante di queste elezioni.
- già Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno
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