di Pierre De Filippo-
È finita come molti si aspettavano sarebbe finita, specie negli ultimi tempi: con la vittoria, netta ed inequivocabile di Donald Trump, The Donald, il tycoon già presidente tra il 2016 e il 2020.
La vittoria di Trump è stata, come detto, chiara su tutti i fronti: su quello dei delegati – finirà con circa 90 delegati in più di Kamala Harris – e soprattutto su quello del voto popolare. Trump e il trumpismo non erano mai stati maggioranza nel Paese né nel 2016, quando vinse, né, tantomeno, nel 2020, quando perse con Biden.
Oggi lo è e questo ci consente una prima riflessione: quello a Trump, al suo modo di fare politica, alle sue proposte, ai suoi uomini non è più un voto di protesta ma di struttura. Significa che l’elettorato si sta spostando verso i suoi modi di operare che giudica, con tutta evidenza, appropriati.
La politica americana è caratterizzata da un susseguirsi continuo di riallineamenti. Quando una società così varia e multiforme è rappresentata da due soli grandi partiti non può che essere così. I Repubblicani erano stati maggioranza nel Paese dalla Guerra civile di Lincoln fino alla Grande depressione del 1929. Il New Deal aveva spostato gli equilibri in favore dei Democratici fino alla fine degli anni Settanta. Ora assistiamo alla istituzionalizzazione del trumpismo. Significa che, probabilmente, questo modo di fare politica non morirà con l’uomo dal ciuffo biondo.
Uomo dal ciuffo biondo che ha, in questo modo, risolto anche le sue importanti e tante grane giudiziarie, con buona pace all’idea che la giustizia sia uguale per tutti.
Come interpretare, quindi, questi risultati? Segnalo tre elementi che possono aiutarci a leggerli meglio:
- Il voto musulmano: i musulmani sono minoranza nel Paese e, in quanto tali, spesso indicati come più vicini alla candidata democratica Kamala Harris. I musulmani hanno votato massicciamente a favore di Trump. Perché? Perché hanno ritenuto che la posizione di Kamala circa la guerra di Gaza fosse troppo morbida nei confronti di Israele. Invece quella di Trump è più decisa, verrebbe da pensare? Manco per sogno: Trump sostiene indefessamente Benjamin Netanyahu, che avrà brindato come non mai. Trump è anche il presidente del Muslim Ban, gli ordini esecutivi con i quali impedì l’arrivo in America di persone provenienti da Paese a maggioranza musulmana. Dunque perché lo hanno sostenuto? Non hanno sostenuto lui, hanno voluto punire la Harris per la sua posizione pilatesca. Cadendo nella brace…
- Il voto degli immigrati: le comunità di immigrati non hanno sostenuto Kamala Harris come ci si aspettava. Afroamericani, ispanici ma anche, banalmente, gli italoamericani del New England hanno votato in massa per Trump. Perché? Perché la lotta è sempre tra gli ultimi e i penultimi e la prospettiva di una politica migratoria più muscolare da parte di Trump (che vorrebbe rafforzare il muro a confine col Messico) ha rassicurato questi elettori più delle politiche aperturiste dei democratici;
- Il voto nel MidWest: il Blue Wall, la Rust Belt, chiamatela come volete. Sono gli stati del nord, quelli dei Grandi Laghi e dell’industria pesante. Tre erano gli swing state dell’area: Pennsylvania, Wisconsin e Michigan. I primi due sono stati già assegnati a Trump, il terzo lo sarà a conti fatti. Nel 2016, tutti e tre furono vinti dal miliardario: si disse allora che della Rust Belt, la cintura di ruggine, fosse rimasta solo la ruggine. Le industrie se n’erano andate, avevano delocalizzato, i lavoratori erano stati licenziati e l’establishment democratico, che domina quel perimetro, non era riuscito a dare loro risposta. Nel 2020, Biden riesce a riconquistarli e cosa fa? Se ne dimentica? No, approva l’IRA, l’Inflaction Reduction Act, uno dei più grandi piani al mondo di incentivi fiscali per l’industria. Risultato? Dopo quattro anni, Trump fa cappotto e vince;
Questo per dire cosa? Che forse la vittoria di Trump risiede in uno dei tratti più caratteristici della nostra epoca: quello di vivere, per citare l’opera di Galbraith, in una società opulenta, che più ha e più vuole. Che ha smesso di accontentarsi e pretende sempre di più.
La vittoria di Trump è la vittoria dell’arroganza e dell’estremizzazione. È la sconfitta del senso della misura. Di un’economia che cresce ma che nell’ultim’anno è cresciuta meno, di un’inflazione che è diminuita ma che nell’ultim’anno è diminuita meno, di una disoccupazione che scende ma che nell’ultim’anno è scesa meno e di un’occupazione che cresce ma che negli ultimi mesi è cresciuta meno.
Servirebbe un libro, non un articolo, per spiegare cosa accadrà (o potrebbe accadere, nessuno ha la boccia di cristallo). C’è una sola certezza: l’Europa o sarà più unita o sarà più fragile. Il fronte occidentale è scoperto. Scopertissimo.