Dal grido di dolore al grido di rabbia

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-di Giuseppe Esposito-

Centosessant’anni or sono il re di un piccolo ma aggressivo regno dell’Italia del Nord, Vittorio Emanuele II, re di Sardegna riuscì a gabbare gli italiani tutti col suo discorso sul grido di dolore che, a suo dire, saliva a lui da ogni parte d’Italia da quelle popolazioni che gemevano sotto il tallone di governanti tirannici e indegni.

In realtà sarebbe stato facile scoprire che se un urlo, si stava levando, questo proveniva dalle esauste casse del suo stesso Stato. Il Regno di Sardegna aveva infatti condotto nei dieci anni precedenti una politica dissennata di espansione e di conseguenza aveva speso in armamenti somme tali da mettere a repentaglio il proprio bilancio. Il debito pubblico piemontese era divenuto esorbitante e non più sostenibile. Ai Savoia faceva perciò gola la montagna di denaro circolante al Sud, dove lo Stato borbonico emetteva solo monete d’oro e d’argento e quelle famose fedi di credito alle quali corrispondeva l’esatto controvalore in oro versato nelle casse del Banco delle Due Sicilie.

Il problema del Piemonte era invece legato alla convertibilità della sua carta moneta. Lì, a Torino, infatti ad ogni lira di carta non corrispondeva affatto un equivalente valore in oro versato presso le casse dell’Istituto di emissione. La folle politica di spese in armamenti aveva condotto il Piemonte sull’orlo del baratro finanziario. Diventava per ciò gioco forza mettere a punto una vera e propria azione di pirateria per rimpinguare le casse dello Stato pressoché vuote. Senza il saccheggio del risparmio storico del Paese borbonico lo Stato sabaudo non avrebbe avuto nessun avvenire. Da quel saccheggio poi messo in opera con la complicità dell’Inghilterra e della massoneria finirono nelle casse del Piemonte più di  cinquecento milioni, su cui la banca di emissione sarda avrebbe costruito un castello di più di tre miliardi di lire.

Alla luce di considerazioni come questa si possono immaginare quali furono le vere ragioni che spinsero il Piemonte ad aggredire proditoriamente il Regno delle Due Sicilie. La conquista piemontese non lasciò al Sud nemmeno gli occhi per piangere e col denaro sottratto al Sud furono incrementate le industrie settentrionali, mentre quelle, prima presenti nel meridione furono lasciate fallire, miseramente, tutte, senza eccezione di sorta. Si pensi ad esempio alla vicenda delle Officine di Pietrarsa ed alla strage operata dall’esercito contro i lavoratori che erano scesi in sciopero.  La classe dirigente del nuovo regno fu formata essenzialmente da burocrati provenienti dal Piemonte i quali, naturalmente, non avevano alcun interesse a curare gli interessi del Sud. Essi anzi formarono una classe essenzialmente rapace, corrotta e incapace.

Nacque allora la questione meridionale su cui tanto si è dibattuto ma che nessuno ha mai voluto affrontare seriamente e risolvere. In questo modo l’Italia si è trascinata divisa in due trinconi le cui economie hanno avuto sempre, come si dice oggi, due velocità, sotto la guida di classi dirigenti sempre incapaci.  Ma gli ultimi tragici avvenimenti legati alla pandemia da Coronavirus hanno ancor più evidenziato la inettitudine di quella classe politica. Siamo giunti al punto che durante una trasmissione condotta dalla giornalista Gruber, non ho potuto fare a meno di esser d’accordo con un tipo come Briatore che ha affermato che siamo governati da una classe politica non all’altezza, in Italia, ma anche negli altri Paesi.

Restiamo però in casa nostra e chiediamoci cosa i nostri politici hanno fatto per affrontare la terribile crisi in atto. Essi si sono limitati a tutta una serie di decreti che confinavano la popolazione in casa e sono andati inasprendo sempre più le sanzioni per i trasgressori. Sembra sentir riecheggiare nell’aria le famose grida manzoniane. In questo tragico momento è scoraggiante vedere il Parlamento vuoto ed inerte. Nessuno si preoccupa di supportare le strutture sanitarie allo stremo. Assistiamo allo squallido scaricabarile di responsabilità tra il Governo centrale e quelli regionali. Oggi  si grida contro il Governo di Roma per far dimenticare il coinvolgimento nello scempio che delle strutture sanitarie è stato compiuto.

Ed ancora nessuno ha la capacità di prendere la benché minima iniziativa. Nel paese manca  tutto ciò che occorre negli ospedali per l’assistenza ai malati. Mancano mascherine, guanti, ventilatori polmonari e reagenti e kit per l’esecuzione dei test di positività al virus.  Qualcuno ha detto che siamo in piena terza guerra mondiale, ma nel passato quando un paese scendeva in guerra la sua economia veniva riconvertita alla produzione di tutto ciò che occorreva a sostenere lo sforzo del conflitto. Le aziende prendevano a produrre armi, munizionamento e mezzi militari, aerei e quant’altro. Oggi invece che le armi per questo nuovo tipo di conflitto sono i materiali sanitari, nessuno si è preso la briga di riconvertire le fabbriche ferme alla produzione di quanto occorre. Restiamo inerti in attesa della carità di paesi come Cina e Russia, che non sono certo disinteressate nell’offrirci quei dispositivi, ed in quantità che non sono nemmeno lontanamente vicine al vero fabbisogno.

I cittadini sono sgomenti e si comincia a sentire, sotterraneo ancora, un grido di ribellione, di rabbia montante. Un grido che cresce poco a poco e che prima o poi troverà la forza per erompere. Solo allora questo iniquo sistema che ci ha condotti alla catastrofe potrà essere rovesciato e gli uomini riusciranno a riprendere nelle proprie mani il proprio destino. Forza italiani ribelliamoci a questa inettitudine colpevole che rischia di farci morire come topi in gabbia. Riprendiamoci la nostra dignità.

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