di Edoardo Sirignano-
Cos’è quella che definisce la “macchina del fango”?
«E’ stato un atteggiamento da parte di chi al tempo mi ha denunciato, volto a demonizzarmi, a infangarmi. E’ chiaro che il tentativo, poi dimostrato, era depotenziarmi dal punto di vista politico-sindacale. Questo fu fatto quando ero segretario generale di Roma. Si voleva, infatti, individuare un altro leader della struttura capitolina, che guarda caso è poi coinciso con le stesse persone che mi hanno denunciato per diffamazione».
Il tentativo è riuscito?
«Quando mi hanno buttato addosso tutto quel fango, ovvero un’operazione scientifica per togliermi di mezzo, mi sono dovuto dimettere, non avendo alternativa. Mi sentivo un topolino contro un elefante. Quel tempo mi tolsero il distacco sindacale, tutti gli strumenti per difendermi e quindi non ho potuto fare altro che arrendermi da quel punto di vista e andare avanti con i processi da loro attivati. Per dimostrare che avevano ragione hanno intrapreso un’azione legale nei miei confronti, sia civile che penale. La seconda, però, si è chiusa con l’archiviazione, emessa alcuni giorni fa dal Gip di Roma, mentre la prima si è conclusa a novembre dell’anno scorso e mi hanno dovuto risarcire le spese legali, tra l’altro pagate grazie con un pignoramento. Non volevano nemmeno liquidarmi».
La controparte, però, continua a svolgere il suo ex lavoro?
«Ahimè, malgrado sia stata condannata in tantissime occasioni, veda il caso Cucchi, Narducci, nonché la mia storia. A Torino c’è stato un caso identico al mio, avendo avuto il mio collega, ex segretario provinciale, tra l’altro morto per Covid, subito lo stesso calvario. Anche in quella situazione, però, c’è stata l’archiviazione, sempre a seguito di macchina del fango, attivata dallo stesso signore, indescrivibile».
Considerando la sua storia, quant’è importante una riforma della giustizia?
«E’ fondamentale, la si deve fare quanto prima. Ho patito fino a oggi quattro anni prima di avere un’archiviazione. Un procedimento, iniziato nel 2017, si è concluso nel 2022. Nessuno, mi potrà mai ridare indietro quattro anni tremendi».
Perché?
«Quando viene accusato di appropriazione indebita, di aver preso qualcosa che non ti appartiene, la tua vita non è semplice. Anche la tua famiglia, i tuoi amici possono aver un sentimento negativo nei tuoi confronti e questa cosa non è facile da sopportare, a maggior ragione per chi è una persona pulita e si è sempre speso per il solo interesse dei colleghi e del sindacato che rappresenta».
Adesso chi la risarcirà di quanto ha subito?
«Stiamo parlando di un qualcosa che non è risarcibile. La serenità che mi è stata tolta, nessuno me la restituirà. Non ci sono dubbi. Faremo, invece, tutte quelle azioni quantomeno per avere un risarcimento materiale che poi abbiamo deciso di devolvere a un progetto per persone che hanno avuto problemi, sostenendo il fondo Marco Valeri».
Perché lei era così fastidioso?
«Avevo un forte consenso, dimostrato, creando il Mosap, che in quattro anni è diventato il primo sindacato, in termini di consistenza associativa, tra quelli non rappresentativi. Il vero problema, però, era legato alla politica. Abbiamo sempre ritenuto che un’associazione di categoria non debba farla».
Questo è stato probabilmente il vero motivo di rottura?
«E’ noto come quel sindacato doveva servire per arruolare persone in determinate forze politiche. La mia battaglia, invece, è avere un sindacato libero, autonomo e indipendente, che può parlare con chiunque, cosa che il Sap non ha dimostrato. E’ servito, piuttosto, a portare in Parlamento diversi soggetti, da Filippo Saltamartini a Gianni Tonelli».
Si riferisce alla Lega di Matteo Salvini…
«I sindacati di polizia dovrebbero essere indipendenti. In questo caso, invece, c’è stato un vero e proprio partito nel partito. Pur potendo essere tutti iscritti, in quella realtà chi la pensava, in modo diverso, non trovava terreno facile. Gianni Tonelli è parlamentare della Lega, ma ancora oggi dirigente di un sindacato condizionato dalla sua politica. Non ritengo, infatti, possa andare contro iniziative sostenute dal suo partito, pure se non convengono ai suoi assistiti. E’ un obbrobrio».
E’ contrario, quindi, a chi fa il deputato e allo stesso tempo il sindacalista?
«Non sono contrario a chi decide di passare dalle linee del sindacato a quelle della politica. Se riesce a portare un contributo sano, essendo conoscitore delle dinamiche interne di un determinato comparto, può essere positivo, ma serve però distinguere bene i due aspetti».