
-di Pierre De Filippo-
Ce lo siamo sentiti ripetere mille e più volte: “chi si ferma è perduto”. Chi lo diceva? Gli intemerati della ginnica, gli uomini del jet set mondiale sempre impegnati a passare da Amsterdam a Manila col primo aereo, i complessati che, se si fossero fermati a pensare, si sarebbero incupiti.
E i sottosegretari all’Istruzione.
Ecco, proprio la gaffe che sta portando il neosottosegretario Rossano Sasso – che c’ha lasciato, dobbiamo dirlo, di Sasso – è il frutto di questa frenesia, di questa bulimia comunicativa che, senza senso, ci aggredisce e alla quale non sappiamo porre rimedio.
Anche il Padre Eterno, arrivato all’alba del settimo giorno, guardò con aria relativamente soddisfatta (non lo convinceva troppo Adamo…) ciò che aveva fatto e disse: “mo’ mi riposo n’attimo”.
Se fermarsi significa riflettere, ponderare, valutare allora che ci si fermi. Dovrebbe essere imposto per legge.
Succede che, proprio per non fermarsi, il nostro amico Sasso, in una delle migliaia di tweet che scrive al giorno, abbia confuso un verso dell’Inferno di Topolino con quello dell’Inferno di Dante che recitava così: “Chi si ferma è perduto, mille anni ogni minuto”.
Questi i fatti. Rispetto ai quali due riflessioni, a mio parere, si impongono.
La prima è che la fretta è cattiva consigliere, la gatta – notoriamente – per andare di fretta… e via discorrendo, altro che guai a fermarsi. Ma la fretta è figlia, come dicevo, dell’assoluta urgenza di postare, twittare, loggare, spammare ed altri termini che la Crusca dovrebbe bannare dal nostro vocabolario.
Quella dell’amico Sasso è una tra tante, assurta agli onori delle cronache perché simpaticamente da far mettere le mani tra i capelli, da far ridere sotto i baffi, da far pensare – per i meno critici – “so’ ragazzi…”.
Succede anche, per dire, che l’ex ministra Beatrice Lorenzin partecipi al cordoglio per la morte dell’ambasciatore Attanasio e per il carabiniere (aggiungi nome), perché il tweet era stato preparato da un addetto stampa, un social media manager che non conosceva il nome del povero Vittorio Iacovacci.
La fretta, il non rileggere, il non controllare. Cattivi consiglieri.
La seconda riflessione è questa: che quella di Sasso sia stata una gaffe, soprattutto per il ruolo che occupa, non vi sono dubbi; che sia preoccupante per il membro di un governo che avrebbe dovuto essere dei migliori anche, che non sia un buon viatico per un settore come quello della scuola, da sempre fortemente corporativo e resiliente verso qualsiasi modifica dello status quo anche questo è certo.
Ma colpiscono alcuni editoriali: ironici, sarcastici, sardonici, per i quali Dante è stato scambiato addirittura con Topolino. Come se l’opera disegnata da Angelo Bioletto e sceneggiata da Guido Martina non fosse espressione pura di genialità italica, concentrato di arte, storia, cultura, veicolo leggero di conoscenza e comprensione.
Non sono molto diversi da Sasso quei giornalisti un po’ naif, altezzosi nella loro immaginaria superiorità morale, faziosamente di parte e protetti dietro quell’aurea di intellighenzia divina che ormai non hanno più.
Lo spirito di parte, tanto più se interpretato da chi, della realtà, dovrebbe farsi cronista non molto distante appare da quella parzialità di visione nella quale è caduto l’Onorevole.
Lungi dall’essere contrapposti, rappresentano – giornalisti e politici – due facce della stessa medaglia: quella che tiene insieme chi non conosce Dante e di chi sottovaluta, per contratto, la cultura nazionalpopolare, che crea lo spirito di una Nazione molto di più di a qualche noioso sermone.
Dante e Topolino nelle celestiali e soffici nuvole del Paradiso.
Rossano Sasso e i giornalisti capziosi nel Purgatorio, perché noi – a differenza loro – vogliamo dargli una seconda opportunità.