di Pierre De Filippo-
Ricorre oggi il quarantatreesimo anniversario della strage di Bologna, che causò 85 morti e 200 feriti, risultando il peggior attacco terroristico verso il nostro Paese. Erano anni, quelli, in cui una bomba, un’esplosione, un aereo che cade non rappresentavano certo una sorpresa, un’eccezione. Erano la regola.
Gli anni di piombo – cominciati con la deflagrazione del 12 dicembre 1969 presso la Banca nazionale dell’agricoltura in Piazza Fontana a Milano e chiusi circa quindici anni dopo – hanno rappresentato l’immagine di un Paese fragile e infragilito, politicamente instabile e socialmente sfilacciato. È a causa di quella che è stata definita strategia della tensione che, a metà degli anni Settanta, Aldo Moro ed Enrico Berlinguer varano il Compromesso storico. Perché contro il terrorismo – rosso e nero di quegli anni – non devono (o non dovrebbero) esserci divisioni. Poi ci sarà l’eccidio di via Fani, il rapimento di Moro, i cinquantacinque giorni di prigionia e il ritrovamento del suo corpo nella Renault 4 rossa in via Caetani e tutto prenderà un’altra, tragica, piega.
Ma torniamo a Bologna in quella calda ed assolata mattina del 2 agosto. In stazione c’è tanta gente: chi parte, chi arriva, chi è lì di passaggio perché aspetta una coincidenza.
C’è Antonella, che ha diciannove anni, ed è lì col suo fidanzato Luca e le due sorelle di lui, Domenica e Angela.
Ci sono Eleonora e suo figlio Vittorio, che sono andati alla stazione ad aspettare una zia che arrivava da Palermo. C’è Paolino, che ha fretta di tornare a casa sua, nel ferrarese, perché lì vive, sola, la sua anziana e malata madre. C’è Maria – il cui corpo si smaterializzerà a causa dell’esplosione, rendendo il tutto ancora più misterioso – che è lì con sua figlia ed un’amica. C’è Iwao, che viene da Tokio, è uno studente modello e ha finalmente coronato il suo sogno di visitare l’Italia.
C’è, a Bologna, la varia umanità. Poi, alle 10.25, non c’è più niente, se non polvere, sangue, urla e morte. E gente, tanta gente, che viene vista andare e venire. Gente amica, se questo fosse un film, che, con barelle e medicamenti, aiutano come e quanto possono. E gente nemica, che viene vista allontanarsi a passo svelto o che osserva tutto da qualche stanza d’albergo delle vicinanze.
L’Italia, si sa, è il paese dei misteri.
Ed infatti, se non è un mistero ciò che è successo, è certamente un mistero perché è successo e, soprattutto, chi lo ha voluto. La giustizia ha individuato i suoi colpevoli: gli esecutori materiali sono stati i neofascisti dei Nar Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, con Luigi Ciavardini, ancora minorenne, e Gilberto Cavallini. E i mandanti? I mandanti sono, secondo la legge, Licio Gelli, capo indiscusso della loggia massonica P2, Umberto Ortolani, suo “vice”, Federico Umberto D’Amato, storico direttore dell’ufficio Affari riservati del Ministero dell’Interno, e Mario Tedeschi, giornalista ed esponente missino di spicco.
Mai come in questo caso, però, dubbi su dubbi si sono stagliati, come neri nuvoloni, davanti all’orizzonte della verità. I Nar – che hanno confessato tutti i delitti di cui si sono macchiati – hanno sempre negato la loro responsabilità rispetto alla strage di Bologna.
Francesca Mambro, in una storica intervista a Sergio Zavoli che conduceva La notte della Repubblica dirà: “io ho preso i miei ergastoli per avere portato a termine delle uccisioni verso degli esponenti delle forze dell’ordine, non ho fatto saltare in aria dei padri di famiglia che andavano a pagare le bollette oppure gente che si recava in vacanza al mare. Donne e bambini…”.
Oggi, il governatore dell’Emilia Romagna Bonaccini e il sindaco di Bologna Lepore invitano a non avallare ciò che definiscono “inaccettabile revisionismo di destra”. Secondo Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei famigliari delle vittime, il governo starebbe “fornendo un assist ai terroristi” e di vedere “una regia politica…”.
Una regia politica c’è sempre e c’è sempre stata, verrebbe da dire. Da parte di tutti e in ogni direzione.
Sarà – lo anticipiamo senza essere Nostradamus – l’ennesimo argomento di scontro e di polemica politica. L’ennesima occasione per spaccarsi ancora.
Verità storica e verità processuale non sempre vanno di pari passo. Forse, se vogliamo davvero capire cosa è accaduto quella mattina a Bologna, c’è ancora da indagare.