19 Luglio 1992/ 19 Luglio 2021: anniversario della strage di via D’Amelio

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Il 19 luglio 1992 era una tranquilla domenica d’estate, non molto calda e con un’aria immota, quando all’improvviso in via D’Amelio, a Palermo, scoppiò l’inferno. Un FIAT 126, rubata, parcheggiata davanti al civico 21 ed imbottita con 90 Kg di esplosivo SEMTEX-H, fu fatta esplodere con un comando a distanza. Il boato fu enorme.

In quell’edificio abitavano Maria Pia Lepanto e Rita Borsellino, madre e sorella del giudice Paolo Borsellino, che quella domenica era andato a far loro visita. La violentissima esplosione provocò la morte del giudice e di quattro agenti della sua scorta. Si salvò solo l’agente Antonino Vullo, che al momento dell’esplosione stava parcheggiando una delle auto della scorta.

Lo spettacolo che si presentò agli agenti della Squadra Mobile locali, giunti sul posto, fu terribile: decine di auto distrutte, altre che ancora ardevano, colpi di arma da fuoco che esplodevano da soli per il calore e brandelli di resti umani dappertutto. I danni arrecati agli edifici della via ed agli esercizi commerciali furono assai ingenti. Via D’Amelio era considerata dalla polizia assai pericolosa, poiché troppo stretta. Era stato chiesto al comune di vietare la sosta delle auto lungo di essa, ma la richiesta era rimasta inascoltata.

Su quell’attentato sono stati celebrati quattro processi senza giungere ad appurare la verità. Le indagini sono state sviate e si è parlato del più grande depistaggio della storia.

La strage di via D’Amelio era avvenuta a poca distanza di tempo da quella di Capaci, del 23 maggio dello stesso anno ed  in cui avevano perso la vita  il giudice Giovanni Falcone, sua moglie la giudice Francesca Morvillo e tre agenti della scorta.

Falcone e Borsellino, che facevano parte integrante del pool antimafia, capeggiato da Antonino Caponnetto rappresentavano un modo innovativo di condurre le indagini contro la mafia. Con il maxiprocesso di Palermo avevano assestato all’organizzazione un colpo durissimo. Avevano dimostrato, in maniera inequivocabile,  l’esistenza di una associazione mafiosa unitaria e diretta dall’alto da una “cupola” che ne indirizzava e ne controllava l’operato. Avevano suscitato l’ammirazione del mondo intero.

Purtroppo la riuscita di quel processo segnò forse ineluttabilmente anche la sorte dei due coraggiosi magistrati. L’organizzazione mafiosa per operare e sopravvivere aveva di certo bisogno di connivenze a livello politico e l’azione dei due giudici li aveva portati, probabilmente, troppo vicini alla scoperta di verità che non si poteva permettere venissero alla luce.

Il maxiprocesso aveva segnato il culmine di un periodo assai travagliato della vita italiana, iniziato nei primi anni Ottanta e protrattosi fino alla metà dei Novanta. Esso suscitò molte speranze in tutti gli italiani onesti, ma poi il sistema cominciò ad ostacolare, in maniera subdola,  l’azione dei giudici palermitani e lasciò infine alla manovalanza mafiosa il computo di fermarli per sempre.

Qualcuno si è chiesto cosa sarebbe accaduto se i due magistrati non fossero caduti vittime degli attentati mafiosi. Ma ovviamente è questa una domanda cui è assai difficile dare risposta. Del resto, la storia non si fa con i se, ma è certo che l’Italia non sarebbe diventata il paese che è oggi, che sembra aver abbandonato per sempre l’idea di combattere la mafia. Questa, come le metastasi di un cancro, si è infiltrata fin nei più reconditi recessi della nostra società, al nord come al sud e in ogni dove.

Se fossero rimasti in vita e se il sistema li avesse lasciati liberi di agire saremmo di certo un paese migliore e saremmo stati d’esempio per tutti gli altri paesi, nessuno dei quali è esente da fenomeni assimilabili a quello mafioso.

Con la  morte di Falcone e Borsellino abbiamo perso, invece,  una occasione irripetibile di divenire un paese migliore e più giusto. Con loro due vivi avremmo vissuto, di certo, un’altra storia, ma questa è evidentemente solo una congettura che non tiene conto di quelle forze che, sotterranee, continuano ad operare contro l’interesse generale dell’Italia. E non sia presa, questa affermazione, come espressione di vuoti complottismi, la perdita di persone come Falcone e Borsellino è un danno irreparabile e forse, chissà,  anche voluto.

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