di Pierre De Filippo-
Angelo Vassallo è morto, è stato assassinato nella sua Pollica. E la pista immediatamente seguita dagli inquirenti – gli uomini della Dda di Salerno – è quella che porta alla criminalità organizzata e, in particolare, al traffico e allo spaccio di droga.
Le indagini, seppur nei loro mille stravolgimenti, non usciranno mai da questo sentiero.
I primi rilievi svolti da Greco vengono contestati: Roberti afferma che la scena del crimine non venne sufficientemente preservata mentre per Antonio Ingroia, divenuto nel frattempo legale dei Vassallo, le indagini furono condotte superficialmente, ventilando quasi una sospetta connivenza. Lo abbiamo detto e lo ribadiamo: critiche ingenerose nei confronti di chi fu responsabile di quel caso per meno di ventiquattr’ore.
Ma torniamo ai fatti di quella sera e dei giorni immediatamente successivi.
In vacanza ad Acciaroli c’è un importante esponente delle forze dell’ordine: Fabio Cagnazzo. Membro di una famiglia d’alti ufficiali e con un curriculum che lo precede, Cagnazzo è a capo della Compagnia di Castello di Cisterna, Napoli. Di Acciaroli è, però, un habitué.
Quella sera è lì, in un noto ristorante sul porto e sta cenando. Ad un certo punto riceve una telefonata e poi la cena prosegue.
Una volta informato dell’accaduto, Cagnazzo mostra un inusuale attivismo: è in vacanza, non fa servizio ad Acciaroli e, cosa più importante, senza alcuna delega da parte dell’autorità giudiziaria, decide di acquisire comunque le immagini delle telecamere di sorveglianza di un negozio che dà sul porto.
Dirà in seguito di aver ricevuto l’autorizzazione di Greco, di Roberti e dalla Pm Rosa Volpe, all’epoca titolare delle indagini, ma i tre hanno sempre smentito.
Sta di fatto che un primo nome esce ed è un nome noto a molti: quello di Bruno Humberto Damiani, detto “o’ brasiliano”, per via delle sue origini. Volto fotogenico, baffetto curato, abbronzatura e un marcato accento napoletano fanno di lui un perfetto meticcio.
Damiani è noto alle cronache: è accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso e di spaccio di stupefacenti, che farebbe arrivare ad Acciaroli a bordo di un gommone.
Ci sarebbe un “clan Damiani” che opererebbe con lui e a sua difesa. Quello contro il quale Angelo Vassallo si sarebbe battuto e che, secondo le prime ipotesi, ne avrebbe organizzato l’omicidio.
Questa pista sarebbe confermata dai primi rilievi d’indagine: in una annotazione di servizio proprio del colonnello Cagnazzo viene riportato che il “Damiani si vede gironzolare intorno a Vassallo insieme ad altre due persone” come se lo stessero pedinando e che sarebbe risultato positivo allo stub, l’esame che accerta se una persona ha sparato.
Un quadro accusatorio di una certa consistenza.
Per questo, Damiani scappa. Torna in Brasile forte del fatto che mai il suo Paese avrebbe concesso l’estradizione. Il cerchio attorno a lui sembra stringersi sempre di più e gli atti che lo riguardano si moltiplicano.
Procediamo con ordine: un’ordinanza di custodia cautelare emessa nel giugno del 2011 dal Gip di Salerno per due tentate estorsioni con annessa richiesta di estradizione, e una seconda ordinanza di custodia cautelare dell’ottobre del 2011 per spaccio di droga nel territorio di Pollica e dei comuni limitrofi.
Il corollario implicito di tutto ciò è la responsabilità, ancora non accertata, per l’omicidio Vassallo.
Sulla base di queste accuse, Damiani viene arrestato all’aeroporto internazionale di Bogotà il 17 febbraio 2014 ed estradato in Italia.
Il 25 marzo 2015 viene ufficialmente indagato per omicidio aggravato dalle finalità mafiose.
Meno di un anno dopo, nel gennaio 2016, il caso sembra chiuso: la Procura di Salerno iscrive nel registro degli indagati altri tre soggetti che avrebbero operato “in concorso col Damiani”, il quale – in quel momento recluso presso il carcere di Secondigliano per reati di droga – sentito per l’ennesima volta e difeso dall’avvocato Michele Sarno, ribadisce di non aver mai avuto rapporti con il sindaco Vassallo e di non poter avere del rancore nei confronti di una persona che, essenzialmente, non conosceva.
A ciò si aggiungono due elementi che concorrono a fare uscire il suo nome dalle indagini: le immagini delle telecamere che lo ritraggono nella zona del porto al momento dell’omicidio e un secondo test del Dna sulla sua compatibilità con i reperti trovati sul luogo del delitto e che conferma la sua estraneità.
Il nome di Bruno Humberto Damiani viene cancellato dal registro degli indagati.
Ce n’è un altro – e veniamo alla più stretta attualità – che ha sempre aleggiato su tutta la vicenda: proprio quello di Fabio Cagnazzo, il cui attivismo è stato interpretato come sospetto dalla Procura e sulla cui persona voci di paese, che a poco servono ma che tanto fanno, hanno sempre espresso più di un dubbio.
La Fondazione Angelo Vassallo sin dal 2011 aveva insistito affinché si indagasse meglio sul rapporto tra criminalità organizzata, traffico di droga e coperture tra le forze dell’ordine.
I fatti di questi giorni sembrerebbero darle ragione.