-di Michele Bartolo
Il Mostro di Firenze è la denominazione comunemente utilizzata per riferirsi a un presunto assassino seriale, autore di sette duplici omicidi commessi fra il 1974 e il 1985. Le vittime delle aggressioni erano coppie appartate nelle campagne dei dintorni di Firenze. Fu il primo caso conosciuto di omicidi seriali ai danni di coppie in Italia ed ebbe vasta copertura mediatica sia durante l’epoca dei delitti che durante i diversi processi contro i presunti responsabili.
Infatti, un’inchiesta avviata agli inizi degli anni ’90 dalla procura di Firenze ha portato alla condanna in via definitiva nel 1999 di due uomini identificati come autori materiali di quattro duplici omicidi, i cosiddetti compagni di merende Mario Vanni e Giancarlo Lotti (reo confesso e chiamante in correità dei presunti complici), mentre un terzo, Pietro Pacciani, condannato in primo grado a più ergastoli per i duplici omicidi commessi dal 1974 al 1985 e successivamente assolto in appello, morì prima di essere sottoposto a un nuovo processo di appello dopo l’annullamento nel 1996 della sentenza di assoluzione da parte della Cassazione.
L’esito dei processi sopra richiamati non deve far ritenere, però, che si tratti di un caso risolto in via definitiva. Infatti, al di là di quanto sancito dalla sentenza definitiva del 1999, sulle numerose scene del crimine del Mostro non sono mai state riscontrate prove fisiche quali DNA e impronte digitali riconducibili ai compagni di merende, né sono state mai rintracciate l’arma da fuoco del serial killer (una presunta pistola Beretta con cui firmava i suoi delitti) così come le parti anatomiche asportate ad alcune delle sue vittime femminili.
Le indagini, inizialmente, si focalizzarono anche su un possibile movente di natura esoterica, che avrebbe spinto una o più persone a commissionare i delitti, senza peraltro evidenziare alcun riscontro oggettivo in tale direzione investigativa.
Un rompicapo che dura da 55 anni, a cui neanche tre processi, svariati filoni d’indagine e in ultimo perfino una commissione parlamentare d’inchiesta, ispirata dal massacratore del Circeo Angelo Izzo, hanno scritto la soluzione definitiva.
C’è ancora una possibilità di dare un nome e un volto a quello che per 55 lunghi anni è stato appellato nelle pagine di cronaca come “mostro di Firenze” o “killer delle coppiette”? Sembrerebbe di sì, stando agli ultimi sviluppi.
È di qualche mese fa la notizia del ritrovamento di un baule, un tempo appartenuto alla famiglia di Pia Rontini, uccisa il 29 luglio 1984 a Vicchio, nel Mugello, insieme al fidanzato Claudio Stefanacci.
L’oggetto era stato affidato dal padre della vittima a un vicino di casa ed era ormai dimenticato da anni. Al suo interno, dei vestiti e alcuni quaderni.
La Polizia scientifica, coordinata dalla Procura di Firenze (le indagini sono attualmente affidate al procuratore aggiunto Beatrice Giunti e al sostituto Ornella Galeotti), ha proceduto al sequestro dei reperti rinvenuti. Il tutto – il baule e il suo contenuto – sarà esaminato con le più evolute tecniche di analisi forense, nella speranza di rinvenire tracce potenzialmente utili all’inchiesta.
Analizzare vecchi reperti con le moderne e più sofisticate apparecchiature forensi può portare a profili genetici. Se il materiale raccolto sulle scene del crimine degli otto duplici delitti di Firenze, avvenuti tra il 1968 e il 1985, è stato custodito correttamente nella catena di conservazione, oggi, da piccolissimi frammenti, si può ricavare il Dna. In tale ottica, si analizzeranno anche le 17 fotografie impresse nel rullino di una macchinetta fotografica di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, i francesi massacrati mentre campeggiavano in una piazzola del bosco di Scopeti, a San Casciano, nel 1985.
Inoltre, pende la richiesta di riapertura delle indagini nei confronti del legionario di Prato Giampiero Vigilanti (quasi 93 anni) e una perizia ha stabilito che la cartuccia trovata nell’orto di Pacciani era stata manomessa per farla associare alla Beretta del mostro.
Molte le lacune investigative, tanti, troppi gli interrogativi ancora rimasti senza risposta, nella speranza che, a distanza di oltre mezzo secolo, possano emergere riscontri attendibili e risolutivi.
Quello che è certo è che le famiglie delle vittime non si arrendono, pur manifestando la loro delusione per il lavoro sinora svolto dalla magistratura italiana. “Siamo stati calpestati dalla giustizia italiana. Le famiglie non sono mai state ascoltate”. Sono le parole dei parenti di Jean Michel Kraveichvili e della fidanzata Nadine Mauriot, coppia uccisa nell’ambito dei delitti del mostro di Firenze nel 1985 agli Scopeti, l’ultimo delitto del mostro.
In particolare, nella conferenza stampa tenutasi lo scorso 24 ottobre, Anne, la figlia di Nadine Mauriot, ha denunciato l’incapacità e l’inefficienza della giustizia italiana .Significative le sue parole: “Sono molto turbata dall’utilizzo del termine Mostro, che rinvia alla mitologia, a qualcosa di sovrumano. E invece siamo di fronte a degli uomini con disturbi gravissimi”. Uomini rimasti senza un volto, dopo cinquantacinque anni.
Immagine: Identikit del Mostro di Firenze eseguito dopo il delitto del 1981