di Michele Bartolo-
Chico Forti, pseudonimo di Enrico Forti ex velista e produttore televisivo italiano torna in Italia dopo oltre vent’anni di carcere negli Stati Uniti. Ma chi è Chico Forti? Perché era stato condannato all’ergastolo? Cosa racconta la sua storia?
Per capire cosa è successo a Enrico ‘Chico’ Forti è necessario tornare indietro di 24 anni, al giugno del 2000, quando il producer televisivo ed ex campione di windsurf di Trento è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio, avvenuto nel 1998, di Dale Pike, un australiano partito da Ibiza per andare a Miami, incontrare Forti e parlare di un affare immobiliare.
Era lunedì 16 febbraio 1998 quando il corpo di Pike è stato trovato accanto a tracce di sangue. Qualcuno aveva sparato alla testa di Dale Pike due volte con una calibro 22 e aveva lasciato il corpo, nudo, su un tratto isolato di spiaggia a Virginia Key.
Secondo gli americani, il killer o il mandante era stato Forti, per motivi di interesse, perché temeva saltasse un affare. Secondo gli italiani e chi negli Stati Uniti difende l’italiano, il mandante sarebbe stato un truffatore tedesco, amico del padre della vittima.
In realtà contro Forti, condannato all’ergastolo, non vi sono prove ma solo indizi, tanto è vero che la polizia di Miami, considerandolo un sospettato, gli tende una trappola, facendogli credere che anche il padre della vittima, con cui Forti stava trattando l’affare, fosse morto ed inducendolo a mentire sulla sua conoscenza, seppur fugace, con l’uomo, salvo ritrattare la versione il giorno successivo. Questo, senza mai avere un giusto processo e senza che l’italiano sia stato interrogato e messo a conoscenza dei suoi diritti, ovvero la possibilità di avvalersi di un avvocato prima di rispondere alle domande.
Non ci sono mai state prove per confermare una delle due versioni rilasciate riguardo le dichiarazioni rese da Forti, ma alla fine è stata presa per buona quella della polizia. Dalla somma di questi sospetti e queste forzature sono nati poi il verdetto di condanna e la sentenza dell’ergastolo.
Una sentenza sulla quale ha pesato anche un errore: non aver chiesto un’analisi di un patologo legale sul corpo della vittima da parte della difesa e non avere chiarito neanche l’ora precisa della morte della vittima.
Certo fa scalpore che l’uomo che nel 1990 aveva vinto ben 80 milioni di lire di allora alla nota trasmissione “Telemike” di Mike Bongiorno sia poi finito dagli altari alla polvere. Il suo trasferimento a Miami, grazie proprio alla fortunata vincita, aveva anche determinato ulteriori motivi di contrasto con la polizia di Miami, dal momento che il Forti realizzò un documentario sull’omicidio di Versace, mettendo in dubbio la versione ufficiale e l’operato della polizia.
Rimane il fatto che Forti si è sempre dichiarato innocente e che ha passato, nonostante tutto, già venti anni rinchiuso nel carcere della Florida. Grazie a un accordo tra gli Stati Uniti e il nostro Paese, a Forti è stata concessa la possibilità di scontare la sua pena in Italia. Qui, come sostenuto dal suo legale e da chi difende la sua innocenza, potrà avere accesso a un trattamento diverso da quello avuto fino a oggi. Ma quali sono stati gli elementi che hanno portato alla condanna dell’uomo negli Stati Uniti? Va premesso che le sentenze negli Stati Uniti non sono mai motivate. La giuria popolare, preso atto di quanto prospettato dall’accusa e ascoltato quanto detto dalla difesa, stabilisce solamente se la persona è innocente o colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio.
Da noi, invece, la sentenza va motivata perché può essere appellata. Il primo elemento che ha portato alla condanna è il movente, molto forte, perché la vittima (Dale Pike) aveva la possibilità di ostacolare un business fondamentale per Chico Forti, ovvero quello di intestarsi l’albergo della famiglia Pike (il Pikes, molto noto all’epoca per aver ospitato personaggi del mondo dello spettacolo). Un’operazione attraverso la quale avrebbe ottenuto dei prestiti dalle banche di Miami, dando in garanzia questo hotel. Infatti, al momento dell’omicidio, Forti era in una difficile situazione economica, aveva debiti. Non si è capito se per operazioni finanziarie sul mercato immobiliare avventate o perché era in contatto con personaggi un po’ ‘particolari’.
Si parla molto anche dell’arma del delitto, una pistola calibra 22, che non è mai stata ritrovata. Il caso ha diviso l’opinione pubblica, fra innocentisti e colpevolisti, sia negli Stati Uniti sia in Italia. Ferdinando Imposimato, difensore di Forti, riteneva il caso “sconvolgente”. “Chico Forti è stato vittima di un errore e di un orrore giudiziario. Contro di lui non ci sono prove e non ci sono indizi. (..) Gli hanno fatto un capo d’accusa generico, contraddittorio, illegittimo perché prima hanno detto che era accusato di aver materialmente e personalmente ucciso Dale Pike. Quando lui ha dimostrato che nell’ora del delitto si trovava in un altro posto, hanno cambiato imputazione. Hanno detto ‘O sei stato l’autore o complice, istigatore’.
Questo va contro una norma della procedura penale americana“, aveva spiegato il magistrato con nettezza di parole. Indubbiamente il caso di Chico Forti continuerà a far parlare di sé e sicuramente vi sono state anomalie di rito e di merito che rendono quanto meno dubbio il processo che ha portato alla sua condanna.
Rimane, però, altrettanto eccessivo il trattamento di accoglienza che gli è stato riservato all’arrivo in Italia, ricevuto dal Presidente del Consiglio quasi si trattasse di un eroe nazionale. Ma questa è un’altra storia, che ci conferma come molte volte il valore mediatico di un caso abbia prevalenza su ogni ragione etica o di semplice opportunità.
Florida Department of Corrections. Public domain/ Di Vincenzo Baglione – Vincenzo Baglione, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=38034894