Roma tramite la musica può tornare ad essere città del dialogo interculturale, la mostra di Lucifero

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di Edoardo Sirignano- da Spraynews

Roberto Lucifero,  presenta “I Canti di Eurasia”, mostra che si tiene nella Cappella Orsini Lab in via di Grottapinta e che sarà che sarà aperta al pubblico nel pomeriggio di domani, in un evento a cui prenderà parte pure Lorenza Bonaccorsi, presidente del I Municipio di Roma. La rassegna è stata realizzata con il contributo dell’Unione Buddhista Italiana e in collaborazione con l’Istituto di Cultura Buddhista Fondazione Maitreya.

I Canti di Eurasia, quali sono le ragioni che l’hanno portata a organizzare l’esposizione?

«E’ un progetto legato ai rapporti tra l’Europa e l’Asia. L’obiettivo dell’iniziativa è far capire che la musica è un linguaggio universale. Attraverso cimeli, documenti, oggetti, maschere e costumi vogliamo dimostrare che esiste un qualcosa di unificato, che riguarda un po’ tutto il mondo e in Asia tale fenomeno è particolarmente evidente».

Roma storicamente si è contraddistinta come città del dialogo tra le culture. Lo è ancora?

«La capitale ha perso da un po’ di tempo il primato, in quanto le grandi metropoli internazionali sono certamente più multiculturali».

Perché è stato perso questo?

«L’immigrazione in altre capitali del resto del mondo è stata maggiore di quanto lo sia stata in Italia e dunque c’è stato un fenomeno di multiculturalità di fatto».

La politica, in tal senso, poteva fare di più?

«Certamente, soprattutto per quanto riguarda il modo in cui gli immigrati vengono recepiti all’interno della nostra comunità. L’unico modo era creare canali di finanziamento che favorissero le attività legate al settore, sia economiche che dialoganti con il sistema produttivo».

L’ evento è dedicato in particolare alla musica. Quanto è importante per i giovani di oggi?

«Stiamo parlando di un incredibile strumento di integrazione. Nella mostra è dimostrato ampiamente, già da epoche lontane. Ci occupiamo di questo sia attraverso l’esposizione, ma soprattutto tramite una rassegna di iniziative che tratta quei temi che vanno dalla musica, fino alla danza, alla performance e alla recitazione e che coinvolge tutte le culture su ci soffermiamo. Il festival inizia con l’Asia Centrale, poi si sposta verso l’India, l’Indonesia, la Cina, il Giappone e finisce con la Nuova Guinea. Dura fino a marzo e vedrà la partecipazione di tanti musicisti, danzatori e artisti che coincidono con le culture inserite nel percorso della mostra».

Saranno coinvolte anche le scuole?

«Sicuramente, in primavera diversi istituti verranno a trovarci, avendo già dimostrato interesse per il progetto. Sarà un’occasione formativa, come d’altronde facciamo normalmente con le scuole del centro storico di Roma».

Quanto quest’ultimo ha bisogno di kermesse che in un certo senso possano rianimarlo?

«Ha perso, intanto, il suo primato come luogo di cultura. La cultura contemporanea della città ormai non si svolge più nel centro storico, ma nei quartieri periferici. L’innovazione si sviluppa in zone che sono completamente decentrate».

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