di Pierre De Filippo-
Che i parenti siano come le scarpe, che più sono strette più fanno male, è cosa nota. E questo vale soprattutto per il nostro rapporto coi cugini d’Oltralpe, i francesi. Non ci siamo mai amati: dalla Gioconda alla testata di Zidane, da Napoleone e Darmanin, la storia è piena di contrapposizione e fraintendimenti.
Solo pochi giorni fa, Emmanuel Macron aveva detto che l’Italia non andava lasciata sola e che tutti i paesi europei avrebbero dovuto fare la loro parte nella gestione e nell’accoglienza dei tanti migranti in arrivo a Lampedusa. Un braccio teso recepito poco dalle nostre parti visto che Salvini a Pontida aveva invitato la turbonazionalista Marin Le Pen. E sempre sul pratone di Pontida c’era chi consigliava di cedere Lampedusa all’Africa. Come se questo fosse il problema e questa potesse essere la soluzione.
Poi, ci ha pensato Gérald Darmanin, che di mestiere fa il Ministro degli Interni in Francia, a specificare che no, loro i migranti di Lampedusa non li avrebbero mai presi. Perché sono “richiedenti asilo” ha detto e non “rifugiati”. Tecnicamente ha ragione. Ma è proprio questo il punto su cui Giorgia Meloni dovrebbe incidere di più: modificare – lo si dice da anni – il Trattato di Dublino, quello che, a livello europeo, disciplina l’accoglienza dei rifugiati sulla base dello scriteriato criterio del “paese di primo ingresso”.
Obiettivo di difficile raggiungimento anche perché l’Europa, per quanto riguarda l’immigrazione, è molto ad immagine e somiglianza dei desiderata di Meloni, Salvini, Le Pen e via discorrendo: totalmente intergovernativa. Sono gli Stati a decidere chi entra, come, quando e perché. Le istituzioni comunitarie hanno una flebilissima voce in capitolo, puntualmente non ascoltata. Siamo sempre sovranisti, finché ci conviene.
Il Consiglio dei Ministri si è però mosso, intervenendo con un decreto ad hoc (in realtà, un pasticcio giuridico della peggior specie ma limitiamoci alla sostanza e lasciamo andare la forma) che ha “inasprito le regole dell’accoglienza contro la furia immigrazionista” come la nostra Premier la chiamava prima di arrivare al potere.
Sono 130mila gli immigrati già arrivati, con Lampedusa sotto stress, i cui centri sono gestiti, da giugno, dalla Croce rossa, che però può poco.
Cosa ha stabilito il Governo?
Di creare almeno un Cpr (Centri di permanenza per il rimpatrio) per ogni regione. I Cpr sono delle strutture amministrative in cui i migranti ritenuti irregolari (ritenuti tali da una sentenza, non da un’idea labile e personale) vengono stipati in attesa del rimpatrio.
Ad oggi, ce ne sono otto e di questi almeno un paio non sono funzionanti. Gli altri sono noti per le pessime condizioni – igieniche e fisiche – in cui gli immigrati sono costretti a vivere e dai quali, puntualmente, tentano di scappare.
Costruirne altri serve? No. I dati dicono di no.
Il Governo ha anche prolungato i tempi di permanenza in questi centri, portati ora a diciotto mesi. L’idea è che con questo maggiore tempo sarà più semplice effettuare i rimpatri e svuotare i centri. È una misura che serve? No. Lo abbiamo già sperimentato con Salvini ministro degli Interni. Ciò che fa la differenza non è il tempo di permanenza nei centri ma l’avere stipulato o meno degli accordi con i Paesi di partenza. Noi ne abbiamo? No. E allora è inutile costruire Cpr e aumentare i tempi di detenzione (una detenzione che tale non potrebbe essere perché non fondata su una sentenza di condanna).
Abbiamo stipulato, in questo mese di luglio, un accordo con la Tunisia di Saied proprio per far sì che lui, col suo piglio autoritario, fermasse le partenze, soprattutto da Sfax, porto non lontano da Lampedusa. Risultato? Prima dell’accordo erano arrivate dalla Tunisia 19mila persone, dopo l’accordo 30mila.
E Saied, nei giorni scorsi, ha rilanciato: “voglio i soldi che l’Ue mi ha promesso, senza alcuna condizione. Se no…”.
Se no aprirà ancora di più le porte al transito. Anche questo uno scenario che abbia già visto, con Erdogan e gli immigrati siriani. E, per l’ennesima volta, non abbiamo fatto tesoro della storia. Non serve, ed è anzi un rischio, esternalizzare le frontiere – lo ha detto Elly Schlein a Lilli Gruber e lei se l’è mangiata “se parla così, chi la capirà mai?” – cioè affidarsi a Paesi extraeuropei: d’altronde, sono stati loro a stabilire che “pagare moneta, vedere cammello”.
In conclusione, Giorgia ed Emmanuel si parlino. Con chiarezza. E, soprattutto, non con l’obiettivo di spartirsi alla meno peggio questi 130mila disgraziati ma di modificare una volta per tutte le regole, di fondo, sull’immigrazione.