-di Giuseppe Esposito-
Tra le figure che celano un simbolismo tra i più antichi e ricchi vi è, senza dubbio, quella della zingara. Una figura che ha da sempre fatto parte del paesaggio urbano, oggi come nel passato. Oggi tale figura gode di una pessima fama, ma tralasciamo questo aspetto e torniamo col pensiero ad altri tempi in cui la presenza del popolo nomade non suscitava lo scandalo di oggi, torniamo ai secoli passati. Anche allora nelle strade cittadine era frequente la presenza di zingare. Ma la presenza sul presepe di tale figura non risponde ad esigenze di maggior realismo o verosimiglianza della rappresentazione per riprodurre le vie della Napoli del XVIII secolo. Bisogna ricordare che in quei tempi una delle attitudini riconosciute alle zingare era quella della divinazione, del profetizzare e, come rivelatrici del futuro, esse sono presenti in diverse opere letterarie e teatrali.
Tuttavia questa loro predisposizione a prevedere il futuro le accomuna a figure più antiche della nostra tradizione, a quelle, cioè, delle Sibille. Esse erano figure presenti in molte culture e religioni del bacino del Mediterraneo legate a tradizioni cristiane, pagane ed ebraiche. Fra le tante Sibille una affiora subito alla nostra mente, quella della Sibilla Cumana che compare nell’Eneide di Virgilio e di conseguenza anche nella Commedia di Dante, che dal poeta latino si fa guidare nel suo viaggio attraverso i regni dell’oltretomba. Così la zingara entra a far parte della tradizione cristiana. Si diceva infatti ch’ella avesse profetizzato la nascita di Cristo ed il Giudizio Universale.
Compare quindi in molte opere di pittura e soprattutto la vediamo rappresentata nel grande affresco michelangiolesco della Cappella Sistina, accanto a profeti quali Isaia, Giobbe ed Ezechiele e ad altre Sibille quali la Delfica, la Libia e l’Eritrea. Nel profetizzare la nascita del Salvatore elle si era illusa di poter essere lei la vergine che l’avrebbe partorito, ma quando udì gli angeli annunciare la nascita di Gesù, si rese conto della propria presunzione e fu trasformata in una civetta.
Ma si diceva anche che essa avesse profetizzato anche la passione di Cristo. Per questo alcune figure di zingara sono rappresentate con in mano i simboli della passione, cioè i chiodi ed attrezzi di ferro. La zingara è posta sul presepe lontano dalla grotta e sovente in prossimità dell’osteria. La pelle della zingara è sovente scura ed anche questo non è per niente casuale. La pelle scura richiama alle tante Madonne nere, presenti nella nostra tradizione. Ma un altro richiamo è ad una dea dalla pelle scura, quella Iside egizia, che andò per il mondo alla ricerca del corpo del marito Osiride, ucciso e fatto a pezzi dal suo crudele fratello Seth. Iside appare dunque come esempio di amore coniugale e del dolore legato alla perdita. Spesso la dea è raffigurata con in braccio il figlioletto Horus. E talvolta anche la figura della zingara del presepe appare con un bambino tra le braccia. Ed allora sembra alludere alla maternità pellegrina, quale quella della Madonna in viaggio verso Betlemme o in fuga verso l‘Egitto a seguito dell’editto in cui Erode ordinava di uccidere tutti i bambini al di sotto dei due anni.
Un’altra versione della zingara si riferisce ad una fanciulla di nome Stefania, nubile che, nel suo tentativo di avvicinarsi alla grotta della Natività, fu fermata dagli angeli che impedivano alle donne non sposate di far visita alla Madonna. Allora Stefania per ingannare gli Angeli prese una pietra e l’avvolse nelle fasce, fingendo di recare in braccio un bimbo. Riuscì così ad entrare nella grotta, il giorno successivo. Giunta, però, alla presenza di Maria avvenne un prodigio. La pietra starnutì e si trasformò in un bambino. Si dice che quel bimbo fosse Santo Stefano che si festeggia il 26 dicembre.
Potremmo concludere dunque col dire che nella figura della zingara, all’apparenza del tutto irrilevante, è sedimentata una tale mole di tradizione e di credenze cristiane da renderne la figura tra quelle più pregnanti dal punto di vista simbolico. La zingara come divinatrice era così presente nell’ immaginario popolare napoletano da comparire persino in alcune canzoni della tradizione classica napoletana. Ad esempio nella popolarissima “Comme facette mammeta” dove ad un certo punto si dice:
p’andivinà, Cuncé.
Comme t’ha fatto mammeta,
‘o saccio meglio ‘e te!”
Il presepe, insomma, che appare spesso come una tradizione un po’ ingenua e talvolta demodé, è in realtà un’esperienza culturale di grande spessore, soprattutto se non ci si ferma alle apparenze e si cerca di approfondirne il simbolismo. È una sorta di summa delle tradizioni della città di Napoli e del suo popolo.