Viaggio nel Presepe Napoletano, da quello colto o cortese a quello popolare

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Il presepe napoletano è ormai considerato un’arte e come su tutte le arti esiste  una copiosa letteratura in cui si fa cenno ad un pubblico vasto ed eterogeneo, attirato dalla grandiosità degli allestimenti, dalla varietà delle scenografie e divertito dalla presenza di tipi grotteschi tra i personaggi che vi figurano.

Per secoli, dopo la sua nascita, il presepe è stato limitato alla sola rappresentazione della Natività, era cioè limitato alla sola mangiatoia ed era rimasto confinato nell’ambito ecclesiale. Poi, come abbiamo già visto, alla metà del XVI secolo sull’impulso dato da San Gaetano di Thiene al suo sviluppo, esso esce da dalle chiese e comincia ad entrare nelle case private.

Bisogna tuttavia rilevare come quello cui la letteratura si riferisce è il tipo di presepe che si definisce colto o cortese ed era quello allestito nelle case dell’aristocrazia o della  ricca borghesia. Spesso gli allestimenti erano enormi e sontuosi ed occupavano varie stanze attirando un pubblico proveniente da tutti i ceti sociali. Si dice che già il viceré austriaco, nella prima metà del Settecento si recasse a visitare quello allestito in casa dell’architetto Gian Battista Nauclerio, che aveva realizzato un dispositivo di illuminazione che ricreava lo scorrere delle ore del giorno.

Il presepe del principe di Ischitella stupiva invece il pubblico per la preziosità dei materiali adoperati. Sui mantelli dei Re Magi scintillavano infatti oro e pietre preziose. Non era dunque l’aspetto artistico a stupire quanto la magnificenza e lo sfarzo profuso nella creazione delle scene.

Nonostante San Gaetano avesse promosso il presepe per accrescere la devozione dei fedeli, nei duecento anni successivi il presepe si allontanò sempre più dalla sua connotazione mistica per diventare una rappresentazione spettacolare di tono profano.

Lo stesso Carlo di Borbone amava molto il presepe e si dice che nel periodo delle feste natalizie si dilettasse egli stesso nel disporre i pastori sul presepe allestito nelle sale del palazzo reale, mentre sua moglie Amalia diventava sarta impegnata a realizzare gli abiti per i personaggi di quel presepe. Un presepe enorme che occupava diverse sale del palazzo ed ara costituito da una interminabile serie di montagne e paesaggi ricchi di taverne, botteghe e mercati.

Era allestito con finissimo gusto estetico ed animato da una sterminata popolazione di personaggi e curato fin nel minimo dettaglio di offerte di merci e di attrezzi da lavoro. Ma il sovrano e la moglie non disdegnavano di andare a visitare anche i presepi più belli realizzati nella capitale, in casa dei nobili e presso le varie chiese di Napoli. L’aristocrazia, ad imitazione del re, si dedicava anch’essa in quei giorni ad allestire i presepe ed anzi i nobili facevano a gara a chi realizzasse quello più bello con enorme dispendio di denaro. E con l’aristocrazia gareggiava la ricca borghesia e per ostentare la solidità economica raggiunta si impegnava in grandi e sontuosi allestimenti.

In quel tempo l’allestimento del presepe era l’evento più importante di tutto il periodo natalizio e acquisì i caratteri di una autentica passione che spesso sconfinava in una vera e propria mania. Qualcuno è arrivato ad affermare che quando i napoletani non erano impegnati a realizzare il proprio presepe sognavano di farlo.

Ma come già accennato esistono due tipi di presepe napoletano quello colto o cortese che è quello di cui abbiamo finora parlato e quello popolare. Ed anche la copiosa letteratura sull’argomento si riferisce quasi esclusivamente a quello, trascurando il secondo o facendovi accenno solo di sfuggita. La differenza tra i due tipi è in realtà sostanziale anche se rappresentano, entrambi, un aspetto della cultura popolare napoletana.

Il presepe colto napoletano è di grandi dimensioni ed i suoi pastori hanno un’altezza intorno ai cinquanta centimetri. Sono realizzati da un manichino di stoppa retto da un’armatura di fil di ferro con la testa, le mani e i piedi realizzati in terracotta o legno e sono rivestiti da veri abiti realizzati in tessuti pregiati. Le parti di terracotta sono spesso realizzate da artisti i cui nomi si ritrovano nei libri di storia dell’arte. La Natività è sovente ospitata tra le rovine di un tempio romano in ricordo delle scoperte archeologiche di Pompei ed Ercolano avvenute sotto il regno di Carlo, il tempo in cui, cioè, il presepe napoletano acquisì la forma che ha conservato fino ad oggi. In esso è somma la cura posta nei particolari, quelli che si definiscono minuterie che fanno del presepe una testimonianza perfetta della vita a Napoli nei secoli XVII e XIX.

Spesso l’attribuzione di un pastore ad un autore impegna molto gli esperti e quando si parla di autori ci si riferisce ad artisti quali il Sammartino, autore del Cristo velato della Cappella Sansevero o a Francesco Celbrano oppure ad Antonio o Domenico Vaccaro, Esistevano, poi, dei veri e propri artisti specializzati nella realizzazione delle minuterie ossia di frutta e verdura e di tutti i generi commestibili esposti fuori dalle botteghe ed i nomi sono quelli di Giovanni Picano o di Michele Trilloco. Vi era  una categoria di quelli che possiamo definire registi che, come quelli cinematografici di oggi, si occupavano di coordinare il lavoro di tutti i realizzatori di figure e di minuterie. I nomi più famosi sono quelli di Nicola De Fazio, Vincenzo Re e di Antonio Jolli.

Dal punto di vista sociologico, questo tipo di presepe colto era proprio della nobiltà o della borghesia ricca a causa, evidentemente, degli elevatissimo costi. L’esempio più noto e mirabile di questo tipo di presepe è quello di Cuciniello che si può ammirare al Museo di San Martino.

Cuciniello, un autore di opere teatrali vissuto nella prima metà del secolo XIX, si dice che fosse un accanito collezionista di presepi e che dieci anni prima di morire lasciò tutte le sue collezioni al museo della Certosa.  Nella realizzazione dei suoi presepi si avvalse della collaborazione di un architetto famoso come Fausta Nicolini, del drammaturgo Luigi Masi e di un artista il cui nome si legge sullo sfondo del paesaggio montuoso del presepe di San Martino, Michele Farina.

Il presepe napoletano popolare era quello che si approntava nei bassi cittadini alla popolazione meno abbiente ma, non per questo, meno appassionata all’arte del presepe. Esso è caratterizzato da un struttura più semplice fatta di assi di legno rivestire di sughero. Presenti degli stretti ripiani che riproducono in tornanti di una montagna e sono collegati tra loro da una serie di discese. Sul piano di base si aprono tre grotte ed i quella centrale è sistemata la scena della Natività. Da una di quelle laterali esce il carretto di un personaggio il cui nome è Ciccibacco.

I pastori del presepe napoletano popolare sono  in terracotta  e realizzati a stampo. Sono poi rifiniti  completamente a mano e rappresentano una serie di personaggi da cui il presepe non può prescindere. Sebbene non gli si possa riconoscere un elevato valore artistico nulla va tolto al loro valor simbolico e di suggestione.

 

Di recente, anche la letteratura ha cominciato ad interessarsi di questo secondo tipo di presepe che rappresenta anch’esso un aspetto della cultura popolare di Napoli ed è una finestra sull’indole di un popolo. Infatti gli studiosi si sono focalizzati sui suoi aspetti antropologici, simbolici e psicologici di questo non trascurabile artigianato, peculiare e noto in tutto il mondo. Un artigianato che attira, in via San Gregorio Armano, la strada dei Figurinai visitatori da tutto il mondo.

Quello per il quale Luca Cupiello il personaggio di Eduardo, chiede al figlio Nennillo: Te piace ‘o presepio?

È in tutta evidenza un presepe popolare, ma come da  tradizione quando Luca si trova in casa l’ospite inatteso, lo invita presso il suo presepe dicendogli: Visitate … visitate.

Infatti il presepe napoletano non si guarda, ma si visita. Esso costituisce infatti un mondo a sé, un mondo in cui immergersi e del quale penetrare la simbologia. Ma di essa parleremo in un’altra occasione. Va tuttavia ricordato che anche tra i pastorari di via San Gregorio Armeno vi sono botteghe condotte da famiglie che si tramandano il mestiere da una generazione all’altra, alcune da quasi due secoli. È il caso dei Ferrigno, dei Gambardella, o dei Di Virgilio. Artigiani abilissimi le cui creazioni sono universalmente apprezzate.

 

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