-di Giuseppe Esposito
Durante questo nostro viaggio attraverso il presepe napoletano non bisogna mai dimenticare che si tratta di una sorta di rituale magico. Una rappresentazione teatrale che ha, in apparenza il solo scopo di commemorare la nascita di Cristo fissandola in immagini, una sorta di fotografia ante litteram. Quelle immagini sono riferite ad una notte eccezionale, una notte in cui il tempo arrestò il suo cammino ed i vivi festeggiarono con i morti. Una notte in cui si stabilì un ponte tra Paradiso, Inferno ed Anime purganti. Il Passato venne a mescolarsi col Presente. In quella immagine il Bene ed il Male coesistono e ciò accade ogni volta che, nell’avvicinarsi del Natale, ogni napoletano allestisce il suo presepe, spesso inconsapevole del linguaggio più segreto di quelle figurine che dispone sullo scoglio di legno e sughero.
E tutte le volte che ci disponiamo ad ammirare quella rappresentazione che ci sembra ingenuamente anacronistica, siamo attratti dalle figure più pittoresche o più strane, le più colorate. Figure che ci mostrano mestieri spesso scomparsi ma che nelle strade della città del XVIII secolo erano frequenti nelle sue strade.
Nessuna di quelle figure tuttavia è li per caso o semplicemente per abbellire la scenografia. Se esse ci permettono di gettare uno sguardo sul nostro passato, sull’immagine di una città che non esiste più, tuttavia il loro significato recondito mantiene una valenza universale.
Tra le figure più pittoresche e caratteristiche del presepe napoletano possiamo senza dubbio porre quelle dei venditori, degli offrenti. Esse sono dodici e già il numero ci richiama qualcosa. Rappresentano infatti l’andamento ciclico del tempo e delle stagioni. Rappresentano la mutabilità e la caducità della vita e sono disposte lungo i sentieri che portano alla grotta della natività ad indicare che la vita, su cui incombe ineluttabilmente la morte, va vissuta e fatta scorrere lungo il cammino della Pietà e dell’Amore, indirizzata al traguardo rappresentato da quel Cristo che nella capanna si è incarnato per noi. Fuori da quella strada si rischia di perdersi lungo quei bui sentieri di sughero e finire nei tormenti dell’Inferno.
I venditori offrono il frutto del lavoro nei campi, di quella attività agricola che nel mondo preindustriale era prevalente e tale attività era indissolubilmente legata al ciclo degli astri. Ma quei prodotti sono costituiti anche dai quattro elementi principali di cui l’universo è formato, l’acqua, il fuoco, la terra e l’aria. E ciò riallaccia la vita sulla terra al più vasto aspetto dell’Universo Creato, il ciclo delle attività umane, il tempo terrestre è condizionato da quell’universo; ogni stagione con i suoi prodotti e le attività ad essi legate varia a seconda della costellazione che si trova , in quel momento, nel nostro cielo. Ad ogni costellazione corrisponde un periodo dell’anno, corrisponde l’avvicendarsi dei mesi. E dunque il fatto che i venditori siano dodici ci riporta a quel ciclo. Ogni venditore sta a rappresentare un diverso mese dell’anno.
Cominciamo con Gennaio, esso è rappresentato dal macellaio o dal venditore di salumi. Era quello il tempo in cui si macellava il maiale la cui carne era la più consumata dagli abitanti del Regno di Napoli.
A rappresentare il mese di febbraio ecco il venditore di formaggi e ricotta, poiché in questo mese si mettevano in vendita i prodotti lasciati a stagionare durante l’inverno. Ma anche il casaro può rappresentare febbraio, nel momento in cui avviene la cagliata del latte, che ha poi bisogno di fermentare, di crescere di volume. La figura del casaro veniva rappresentata sui lunari e sui calendari di Barbanera, venduti nelle fiere, proprio a rappresentare febbraio. Per il mese di marzo abbiamo il venditore di polli. Marzo era infatti il mese in cui le famiglie napoletane acquistavano i pulcini che mettevano poi all’ingrasso in attesa che essi, a pasqua diventassero polletti da uccidere e da consumare nella festa.
Aprile è rappresentato invece dal venditore di uova. Secondo alcuni, come ad esempio Giuseppe Piccinno e Giuseppe Serrani, autori di un bel volume dal titolo “’A cchiù lucente jette a chiammà li Megge a l’Uriente. Il cammino del sole nei mestieri del presepe napoletano”, in aprile si è in piena primavera e si festeggia dunque la rinascita della Natura e l’uovo simboleggia appunto la vita che rinasce. Un embrione di essa chiusa in un guscio rigido verrà alla luce dopo la sua maturazione rompendo quel guscio. Va inoltre ricordato che l’uovo ha con la città di Napoli un rapporto tutto speciale. Secondo la leggenda infatti Virgilio che a Napoli era ritenuto un mago, pose nelle fondamenta dell’edificio che all’uovo si richiama, Castel dell’Ovo, un uovo magico chiuso in un gabbia di ferro che aveva il potere di tenere in piedi la fortezza. Se quell’uovo dovesse rompersi, però, sarebbe la fine non solo del castello, ma di tutta la città di Napoli. Ma l’uovo in sé rappresenta anche la perfezione, un oggetto senza inizio né fine, come la sfera, ma nel quale è possibile individuare una direzione intorno alla quale l’uovo si è formato. L’uovo è inoltre simbolo di fecondità, di vita eterna, di perfezione e di resurrezione e come tale è presenta in molte altre culture.
Maggio è rappresentato da una coppia di sposi che offrono in vendita delle ciliegie in un cesto di vimini. Esso era considerato il mese dei matrimoni ed è il mese in cui le ciliegie giungono a maturazione. La fioritura dei ciliegi è auspicio di prosperità. Si pensi all’hanami, una tradizione del Giappone nata più di 1300 anni fa che consiste nell’ammirare la fioritura dei ciliegi. E chissà che notizie di tale usanza non sia giunta fino a Napoli nel XVIII secolo, quando Matteo Ricci ed altri suoi confratelli, che erano arrivati fino in Giappone, fondarono il Collegio dei Cinesi, diventato oggi l’Istituto Universitario Orientale.
Il mese di giugno è invece rappresentato dal panettiere. È questo il mese della mietitura e quindi della produzione della farina e del pane che è simbolo della vita e dell’Eucaristia.
Tuttavia, la presenza del panettiere sul presenza evoca quella dei morti al cui pallore allude il candore della farina. Essa dunque si può leggere come simbolo dell’alternanza tra la vita e la morte. Sono molti sul presepe i personaggi la cui simbologia è duplice e d i suoi due significati sono spesso antitetici e stanno ad indicare come i diversi aspetti, la vita e la morte, il bene ed il male, l’immanente ed il trascendente, coesistono nella rappresentazione del presepe, come nella nostra vita.
Osservare un presepe è dunque un’esperienza simile ad una immersione in un mondo altro, nella vita di una città molteplice come poche altre, l’unica città antica sopravvissuta ai cataclismi della storia. Una città stratiforme, fisicamente e culturalmente. Una città dove, ancora si ritrova il mondo greco e quello romano, quello medievale e quello moderno. Per averne un’idea basta fare una visita agli scavi che sono sotto la chiesa di San Lorenzo Maggiore. Lì si potrà osservare come in una sezione di un campione anatomico la sovrapposizione delle epoche e delle civiltà che hanno reso fertile Napoli e la sua gente.