Tra le rovine del tempio, visitiamo il Presepe del Re

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Primi giorni di dicembre, un’aria diversa trascorre per i vicoli del centro di Napoli. Un’aria d’altri tempi e d’altri luoghi direbbe il poeta. È l’aria del Natale che si avvicina. Un’aria che mette allegria ai fanciulli e solleva vecchi ricordi in chi fanciullo non lo è più da troppo tempo. Nostalgie che depongono un velo leggero eppure opprimente sull’animo. Eppure passeggiare tra le botteghe di pastori in San Gregorio Armeno è una gioia, una festa che fa sentire fanciulli anche chi come me si fa spesso vincere dalla malinconia. Quest’anno poi resisterle è davvero uno sforzo eroico, eppure bisogna vincerla quella tristezza. Se quest’anno lo spettacolo delle botteghe chiuse e della strada deserta è nuovo ed angosciante bisogna confidare nel fatto che, per dirla ancora una volta col nostro Eduardo, ha da passà ‘a nuttata ed anche questa terribile notte che questo virus ha fatto scendere su di noi. Consoliamoci dunque riandando con la memoria al tempo in cui questi giorni erano forieri di gioia e riandiamo a quando si andava a visitare oltre che le strade dei presepi, anche quei presepi che sono giunti fino a noi dall’età d’oro di questa arte così particolare e così propria della nostra città.

Abbiamo già detto in precedenza del presepe settecentesco più conosciuto, quello di Cuciniello, conservato al Museo di San Martino, ma un altro ve n’è da visitare non certo meno bello e meno ricco di fascino. È quello che si usa chiamare il Presepe del re ma che invece è quello di proprietà del Banco di Napoli. Di quello che si allestiva a Palazzo reale ai tempi di Carlo di Borbone non ci è rimasto nulla. Troppe le rapine subite dalla residenza dei re di Napoli, oggi anche il Banco di Napoli  che ci è stato scippato. Il più antico degli istituti di credito è finito nelle mani di una banca di Torino, Baca Intesa e sembra che la Storia abbia voluto prendersi ancora una volta gioco dei Napoletani, con la complicità di una classe politica imbelle. Dopo la rapina del 1860 ai giorni nostri hanno cancellato una Banca gloriosa e di estrema importanza per il Mezzogiorno.

Ma torniamo ai presepi e immaginiamo di varcare la soglia del Palazzo Reale, in piazza del Plebiscito, o meglio dell’antico Largo di Palazzo. Saliamo al primo piano e dirigiamoci alla Cappella Palatina. Lì troveremo il magnifico presepe che pur se meno famoso è un’opera davvero senza pari.

Il presepe che ci si para davanti si può dire che rappresenti un simbolo di quel secolo in cui lo stesso Carlo di Borbone, appassionatosi di quella particolare interpretazione della Natività, se ne fece promotore e la fece conoscere anche fuori dai confini del suo regno. Il presepe che oggi possiamo ammirare è stato realizzato con pezzi rarissimi provenienti da alcune collezioni private. Su di esso sono disposte 210 figure realizzate a mano tra la fine del XVIII e i primi decenni del XIX secolo. Esse sono realizzata con la tecnica tipica del tempo, sono costituite da uno scheletro di fil di ferro e stoppa, in modo da dare ad ogni pastore la postura desiderata. Sono poi rivestiti con abiti realizzati apposta in tessuti pregiati, mente la testa, le mani e i piedi sono in terracotta o legno dipinti a mano. Gli occhi sono realizzati in cristallo per dare ad essi un aspetto quanto più verosimile. In fondo si può ben dire che il presepe napoletano è un teatro in cui gli attori/pastori ed i luoghi tutti, riprodotti con una cura ed una fedeltà estrema, sono lo specchio di una città Napoli che all’epoca era ancora una capitale culturale ricca di fermenti in ogni campo.

Anche questo presepe rispetta la tradizionale  tripartizione in tre zone o scene  principali, quella della Natività, quella dell’annuncio ai pastori e quella della taverna.

La Natività è posta nella parte alta dello scoglio e ed ambientata tra le rovine di un antico tempio romano, come testimoniano le colonne che ancora si ergono dritte. Intorno una vegetazione selvatica. È, come già sappiamo, il trionfo di Cristo sui falsi dei della paganità.

In basso, nella parte centrale la scena dell’Annuncio in cui un Angelo avverte i pastori della prossima nascita del Salvator mundi. Tra la folla dei pastori si nota un giovane addormentato che sogna è quello che è chiamato Benino. Sulla destra è una tavola riccamente imbandita, commensali in abiti sontuosi posta davanti all’ingresso della taverna. Sul tavolo cibi tipici della cucina napoletana ed appesi daccanto alla porta della bottega salumi di ogni tipo.

A sinistra si nota un folto corteo di personaggi in abiti orientali, con strumenti musicali ed armi riprodotti con cura meticolosa in ogni loro particolare. Non mancano animali esotici quali un cammello e un elefante. È questo l’indizio di una Napoli cosmopolita nella quale erano stati avviati ricchi commerci coi paesi dell’estremo oriente, dopo che, nel 1732 Matteo Ricci aveva fondato il collegio dei cinesi, quello che è ancor oggi l’Istituto Universitario Orientale.

Si pensi che a quei tempi la moda dell’orientalismo arrivò a contagiare ogni aspetto della vita sociale napoletana, dall’abbigliamento all’arredamento e ad ogni forma di decori. Basta ricordare il salottino cinese realizzato in ceramica per il boudoir di Maria Amalia di Sassonia, nella reggia di Portici e conservato oggi a Capodimonte.

Il tratto caratteristico del presepe sono i costumi dei diversi personaggi che rappresentano davvero uno spaccato delle popolazione del tempo. Si va dai contadini a i venditori, ai mercanti, agli osti ed ai borghesi. Gli abiti sono una perfetta riproduzione di quelli che si potevano vedere in giro nella città d’allora, riprodotti con fedeltà assoluta nei minimi dettagli: stoffe, bottoni, accessori, gioielli, strumenti musicali l’insieme ha un valore documentario migliore di qualunque saggio scritto. Ma la simbologia sottesa alle scene è delle più varie.

Le rovine del tempio che accolgono la natività stanno ad indicare l’interesse che suscitarono in tutta l’Europa le scoperte archeologiche di Pompei ed Ercolano. La Natività posta in alto sta a significare che per giungere a Dio è necessari affrontare un percorso impervio dalla vita materiale a quella spirituale. Ma sui significati di ogni parte della sacra rappresentazione ci soffermeremo più tardi, poiché il presepe è una sorta di codice che va decifrato attentamente.

Quanto invece  alle diverse figure, presenti sul presepe, esse possono essere tutte ricondotte ad uno degli artisti operanti nella Napoli del XVIII secolo quali il Sammartino, autore del Cristo velato della Cappella Sansevero,  oppure il suo allievo Angelo Viva, autore delle statue in cartapesta delle muse, poste nel teatro di corte, Salvatore Franco, Lorenzo Mosca, Matteo Bottigliero, Francesco e Camillo Celebrano. Insomma, artisti che nella Napoli del Settecento andavano per la maggiore e le cui opere si possono osservare andando a passeggio per Napoli e sollevando lo sguardo verso molti degli edifici  che si possono ammirare ancora oggi.

Da notare che lo scoglio in cartapesta fu realizzato proprio per accogliere espressamente i pastori di questa collezione. Esso presenta vie ponti, botteghe, rocce scalinate, ruscelli, case e pullula dei personaggi più vari che non sono affatto frutto di invenzione ma sono la riproduzione fedele di coloro che, al tempo, animavano le vie cittadine e le campagne intorno. Non manca neppure, sullo sfondo, la sagome del Vesuvio col suo pennacchio di fumo. Così come appariva nelle tante guaches degli artisti dell’epoca.  Insomma La rappresentazione della natività si è trasformata nella documentazione fedele della vita di quella Napoli capitale che perse il suo ruolo definitivamente dopo la sciagurata conquista piemontese e che ancora oggi stenta a ritrovare una sua ragion d’essere.

Ma come sempre avviene  all’arrivo del Natale crediamo tutti in un futuro migliore, respingendo il pessimismo di tutti i giorni. Il presepe napoletano sembra volerci anche ricordare che Napoli cosa sia stata Napoli in passato, una città in grado di gareggiare con le più grandi del tempo. Il presepe napoletano non può che infonderci un pizzico e di speranza ed una spinta a reagire. In fondo le memorie de passato a questo servono.

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