Le grandi pandemie della Storia 2: la Peste Nera

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di Giuseppe Esposito-

La peste che colpì l’Europa alla metà del Trecento, diventando poi la malattia per antonomasia, rappresentò una della più immani catastrofi della storia europea.

Le immagini quotidiane, pervenuteci attraverso la narrazione o i dipinti, fanno rabbrividire ancor oggi.

Fu chiamata Peste Nera e l’espressione nacque dall’osservazione dei sintomi che essa provocava, tra cui macchie scure e livide di origine emorragica che comparivano sulle mucose e sulla cute degli ammalati.

Responsabile della peste era ed è ancora il bacillo chiamato Yersinia pestis, dal nome del medico francese Alexandre Yersin che lo scoprì alla fine del XIX secolo. Esso è un parassita dei topi, nel cui pelo si annidano le pulci. Queste succhiano il sangue infetto dei roditori e poi trasmettono il bacillo agli uomini.

La peste scoppiata nella prima metà del Trecento fu immortalata da Boccaccio nel suo Decameron e fu, senza dubbio alcuno, un disastro di proporzioni enormi, il più memorabile per l’intero Occidente medievale.

L’origine della Peste nera sembra che si debba collocare in un focolaio permanente, oggi in letargo, posto alle falde dell’Himalaya. In quelle zone si erano create le condizioni climatiche e biologiche favorevoli all’installarsi del bacillo nelle colonie di roditori che popolavano quei luoghi.

Purtroppo attraverso quelle lande passava l’importantissima Via della Seta. Trasportato dai topi nascosti tra le merci delle carovane, la malattia fece la sua comparsa in Cina nel 1331. Diffusasi in tutto l’Impero essa provocò la morte di milioni di uomini e la popolazione cinese passò dai 125 milioni a 90 milioni di abitanti.

Ma il viaggio della Yersinia non era terminato ancora. Sempre grazie alle carovane essa raggiunse la colonia genovese di Caffa in Crimea, dove cominciò a manifestarsi nel 1346. A bordo delle navi genovesi il bacillo giunse nel 1347 a Messina e di là in tutta l’isola. Attraversato lo stretto comparve a Reggio Calabria e prese a risalire la penisola. Nel 1348 è a Napoli e ad Amalfi. Nello stesso tempo, varcato il Mediterraneo approdò sulle sponde d’Africa diffondendosi in tutto il nord del continente nero. Raggiunse anche la Sardegna e l’isola d’Elba. Le navi genovesi che facevano scalo a Pisa e a Genova aprirono al morbo un’altra via di diffusione ed ecco che lo troviamo in tutta l’Italia settentrionale. A Venezia giunse attraverso la Dalmazia. E fu poi la volta della Francia, della Spagna e dell’Inghilterra. Prese poi a risalire verso nord e nel 1350 fu in Svezia, ne ’51 – ’52 in Russia.

Appare evidente che il contagio viaggiava coi topi che si annidavano sulle navi e tra in bagagli dei mercanti in giro da un paese all’altro. Le pulci da sole non avrebbero potuto muoversi dal luogo d’origine, ma esse si annidavano nel pelame dei roditori e questi le trasportavano ovunque.

L’ampiezza della diffusione è strettamente legata alla velocità alla quale i topo si riproducono. Basta infatti una sola coppia di essi per averne in pochi mesi molte centinaia.

La velocità della diffusione dei contagi era invece legata alle scarse condizioni di pulizia in cui le popolazione del tempo vivevano. Per gli uomini dell’epoca le pulci erano una compagnia scomoda ma, a loro parere, ineliminabile.

A ciò si aggiunga che il contagio si trasmetteva anche attraverso la saliva, per cui bastava uno starnuto per diffondere nell’ambiente milioni di bacilli.

La medicina era impotente, non aveva alcun mezzo per combattere la malattia ed essa era attribuita alla corruzione dell’aria, dovuta ad una particolare congiunzione astrale. L’unico rimedio che sapeva fornire era quello di abbandonare le città e rifugiarsi in campagna. Cosa che avevano fatto i giovani fiorentini della brigata protagonista del Decamerone. Ed essi per ingannare il tempo ed allentare la paura decidono di raccontarsi le cento novelle che costituiscono l’opera di Boccaccio.

Per la Chiesa poi la malattia era un castigo di Dio per le colpe degli uomini e per impetrare il perdono divino essa organizzava, quasi ogni giorno, processioni molto seguite che non facevano altro che favorire il contagio. La paura fece sorgere una sorta di isteria collettiva e sorse la figura dei flagellanti, che andavano di città in città a mortificare il corpo nella speranza di placare l’ira divina. Alla fine delle loro esibizioni sulle piazze delle varie città, scattava la caccia all’ebreo, cioè al diverso cui si attribuiva la colpa di diffondere il contagio. A Strasburgo nel corso del solo 1349. Ne furono arsi sul rogo più di 2.000.

Passata quella prima ondata di peste, che aveva imperversato tra il 1347 ed il 1352, si contarono più di trenta milioni di vittime. L’Europa aveva perso un terzo della sua popolazione.

Tuttavia la peste non era scomparsa del tutto ed essa continuò a ripresentarsi ciclicamente, ogni dieci quindici anni.

La malattia cessò di essere endemica solo alla fine del XVIII secolo a seguito del miglioramento delle condizioni igieniche e per una più efficace politica sanitaria.

Bisogna però arrivare al 1943 perché, col diffondersi degli antibiotici, le sue  conseguenze sono finalmente state ridotte drasticamente. Essa sopravvive tuttavia in alcuni dei luoghi più degradati della Terra.

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