Le grandi pandemie della Storia 3: il vaiolo

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-di Giuseppe Esposito-

Una delle malattie più terribili e che ha flagellato a lungo l’umanità è stato il vaiolo. L’epoca della sua comparsa non è mai stata definita, ma di sicuro esso si è sviluppato dalla evoluzione di un virus dei roditori. È incredibile come si vada sempre a cadere sui topi, quando si tratta di malattie. I ceppi del virus sono due: il Variola maior che si diffuse in Asia tra i 400 ed i 1600 anni fa ed è quello all’origine della forma più grave della malattia. Vi è poi il Variola minor, divisosi a sua volta in due sottogruppi, il primo diffusosi in America ed il secondo nell’Africa occidentale.

Entrambi i ceppi discendono da un unico progenitore ancestrale presente tra i 1400 ed i 6300 anni or sono.

Il vaiolo è stato individuato come malattia endemica nell’India di circa 3000 anni fa. La prima evidenza clinica della malattia è quella osservata sulla mummia di Ramses V, morto circa 3000 anni fa. Si suppone quindi che mercanti egizi abbiano poi portato il virus nel I millennio e che lì il vaiolo sia poi divenuto endemico.

Nel I secolo troviamo il vaiolo in Cina e successivamente anche in Giappone. Nel 725 – 737 un’epidemia di vaiolo causò la morte di circa un terzo della popolazione dell’intero arcipelago giapponese.

L’arrivo in Europa della malattia è invece piuttosto controversa. Di essa non si trova menzione né nel Nuovo, né nel Vecchio Testamento e nemmeno nella letteratura greca o romana. Sembra impossibile che essa potesse sfuggire all’osservazione di Ippocrate, nel caso fosse stata presente nel bacino del Mediterraneo, in quell’epoca. Alcuni studiosi ipotizzano che essa sia giunta al seguito delle truppe arabe nel VII – VIII secolo. Il primo a compiere una osservazione più approfondita della malattia e a distinguerla dal morbillo e dalla varicella fu un medico persiano, Abu Bakr Mohammad Ibn Zakriyya al Razé e che riportò i risultati della sua indagini in un’opera il cui titolo italiano è “Il libro del vaiolo e del morbillo”.

Durante il Medio Evo il vaiolo imperversò in ondate distanziate di qualche decennio l’una dall’altra, ma divenne endemico solo col crescere della popolazione e soprattutto a seguito di spostamento di grandi masse umane, come avvenne in occasione delle crociate.

A partire dal XVI secolo esso era presente in tutta l’Europa e presentava un tasso di mortalità intorno al 30%, diventando, forse, la principale causa di morte. Con la scoperta dell’America esso fu trasportato al di là dell’oceano causando la morte di gran parte delle popolazioni native, che prima di allora non avevano mai conosciuto il morbo.

Tra gli indigeni il tasso di mortalità giunse a picchi dell’80 – 90% e la cosa facilitò la caduta degli imperi aztechi e inca. Nel corso del XVIII si cominciò a far ricorso alla pratica della variolizzazione, cioè alla inoculazione di materiale prelevato da lesioni vescicali o di croste prese da malati non gravi. Una sorta insomma di vaccinazione ante litteram, che in parte ridusse un poco l’incidenza del morbo, soprattutto presso le classi più abbienti, ma a lungo andare la pratica non dette risultati affidabili.

Per fortuna, nell’ultimo scorcio del secolo, Edward Jenner scoprì che l’inoculazione del vaiolo bovino rendeva immuni dal vaiolo. Ed infatti il termine vaccino deriva proprio da variolae vaccinae, cioè vaiolo delle vacche. Il termine fu usato per la prima volta da un amico di Jenner, Richard Dunning in una sua pubblicazione. Da quel momento e con la diffusione della vaccinazione come pratica come pratica comune, alla fine del secolo XIX si giunse ad una riduzione drastica dell’incidenza del vaiolo sulle popolazioni dell’Europa ed in parte dell’America settentrionale. In Africa rimaneva ancora una forma di vaiolo dovuta alla Variola minor.

Il primo grande sforzo nella direzione della eradicazione della malattia fu compiuto nel 1950 dalla Pan Ameican Health Organization che lanciò una vasta campagna di vaccinazione. Molti furono però i paesi rimasti fuori da questa iniziativa e quindi, nel 1958, l’OMS, su sollecitazione del ministro sovietico della Sanità, Viktor Zhdanov, intraprese una campagna di vaccinazione su scala globale. Eppure ancora una volta vaste zone del globo non riuscirono ad essere affrancate dalla malattia. Per questo nel 1967 gli sforzi furono intensificati e furono stanziati 2,4 milioni di dollari anche per organizzare una rete di sorveglianza sanitaria e monitorare la diffusione della malattia.

Si giunse finalmente al 1979 in cui si poté certificare da parte degli scienziati di tutto il mondo la vittoria definitiva sul vaiolo. Essa fu ratificata ufficialmente nel corso della Riunione Mondiale dell’OMS che nel documento finale così scriveva:

Dopo aver considerato lo sviluppo e i risultati del programma mondiale di eradicazione del vaiolo, avviato dall’OMS nel 1958 e intensificato nel 1967, dichiara solennemente che il mondo e i suoi popoli hanno ottenuto la libertà dal vaiolo, una delle malattie più devastanti a manifestarsi come epidemia in molti paesi, sin dai tempi più remoti, lasciando morte, cecità e deturpazione nella sua scia e che solo un decennio fa era dilagante in Africa, Asia e Sud America.”

Oggi esemplari di virus sono conservati al solo scopo di studio in due soli siti, laboratori dotati di adeguati sistemi di sicurezza, il CDC di Atlanta ed il Centro Ricerche Vector  di Kol’kovo, in Russia.

 

 

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