di Giuseppe Esposito-
Festival del Cinema di Cannes, tredicesima edizione, 1960, la giuria, presieduta da Georges Simenon ha deciso di assegnare la Palma d’oro, al film “La dolce vita” di Federico Fellini ed il Premio della Giuria del Festival al film “L’avventura” di Michelangelo Antonioni. Un successo tutto italiano che non si ripeterà mai più. Sono gli anni in cui il cinema italiano è tra i più importanti del mondo.
Alla proclamazione dei vincitori, il pubblico presente nella sala del Palais des Festivals ha subissato di fischi Simenon nel momento in cui dava lettura dei vincitori. La violenta reazione del pubblico ha provocato una crisi di pianto a Giulietta Masina. Ma il tempo dimostrerà che la giuria è stata più lungimirante del pubblico, il film di Fellini avrà un successo senza precedenti e rimarrà nella storia del Cinema.
La sceneggiatura del film era stata scritta da Tullio Pinelli e da Ennio Flaiano. Non era però piaciuta al produttore, Dino De Laurentis, che la considerava troppo caotica. Per questo motivo i rapporti tra lui e Fellini si erano incrinati, fino a giungere alla rottura definitiva. Il regista fu costretto a mettersi alla ricerca di un nuovo produttore e, dopo vari colloqui ad assumersi l’onere furono Angelo Rizzoli e Giuseppe Amato, i quali dovettero anche rimborsare a De Laurentis gli 80 milioni da lui anticipati.
Altro motivo di rottura tra regista e produttore era stata la scelta del protagonista: De Laurentis voleva puntare su un attore americano o francese quali Paul Newman o Gerard Philippe per garantire al film il mercato internazionale, ma Fellini, che riteneva che il protagonista dovesse essere italiano si era impuntato sul nome di Marcello Mastroianni cui, alla fine fu assegnato il ruolo del protagonista. Altra interprete, iconica, si direbbe oggi, fu Anita Ekberg che la partecipazione al film di Fellini rese ancora più famosa. Il regista la chiamava, affettuosamente Anitona, per il fisico dirompente. Soprannome che le restò appiccicato definitivamente e con cui era citata nei rotocalchi dell’epoca. Altri protagonisti furono Alain Cluny e Yvonne Fourneaux. Nel film fece la sua comparsa anche un giovanissimo Adriano Celentano e l’attrice di origine circense Liana Orfei, già protagonista di film in costume.
Il film fu girato interamente negli studi di Cinecittà, in cui, con precisione quasi fotografica erano stati ricostruiti scorci della famosa via Veneto romana.
La sola scena girata in esterni fu quella della Fontana di Trevi. E si pensi che la lavorazione avvenne in pieno inverno, per cui mentre la svedese Ekberg non aveva nessun problema, nonostante il freddo a rimanere in acqua per ore, il protagonista, Mastroianni, dovette indossare una muta da sub, sotto il vestito e scolarsi , preventivamente, una bottiglia di vodka ad ogni ciac.
Furono girati 92.000 metri di pellicola di cui solo 5.000 erano stati montati per l’edizione definitiva. Le scene girate duravano la bellezza di 4 ore che con diversi tagli furono ridotte a 3. Quando il distributore prese visone della pellicola dichiarò che il film sarebbe stato un flop perché troppo pesante per il pubblico. Previsione che si rivelò completamente sballata, poiché il film nei soli primi quindici giorni di proiezione aveva già riguadagnato gli 800 milioni spesi dai produttori. La presentazione in anteprima avvenne a Roma e a Milano e la intensa campagna pubblicitaria ed il clima rovente creato dalle critiche accesissime, ma anche, secondo il critico Pier Marco De Santi, il risveglio del pubblico e della sua intelligenza critica ne decretarono il successo.
Il film fu campione di incassi in ogni parte del mondo ed alla fine della stagione ’59-’60 portò nelle casse dei suoi produttori la stratosferica cifra di oltre 13 miliardi di lire.
Nel Dizionario del Cinema Morandini il film, si dice, sia una rappresentazione di Roma vista come una Babilonia precristiana e la materia è quella da giornale rotocalco trasformata in epica nel cui disgusto lo spettatore è invitato a viaggiare.
Il film è da considerarsi uno spartiacque nel panorama del cinema italiano ed il critico del New York Times ebbe a scrivere sul prestigioso foglio che “La dolce vita” è il primo film del quale si può dire che sia “felliniano”.
Il film ebbe una influenza notevole addirittura sul costume e sul linguaggio comune e quella della fontana di Trevi è può essere considerata la scena simbolo dell’intero XX secolo.