di Giuseppe Esposito-
Proseguendo nella nostra escursione attraverso il presepe napoletano, ci imbattiamo nella trentaquattresima delle sue figure: il corteo degli orientali, o meglio nei Re Magi seguiti dal loro fantasmagorico corteo. Uno dei più suggestivi esempi di tale corteo è quello che possiamo ammirare nel presepe Cuciniello, esposto al Museo di San Martino. Ma i Magi, come tutte le altre figure, non sono presenti solo per un motivo folkloristico o per una questione scenografica. Essi hanno i loro precisi significati e la loro ragion d’essere.
Torniamo per questo a ribadire un concetto già espresso ed universalmente accettato, quello cioè che il presepe napoletano, a partire dal secolo XVIII, affiancò alla funzione per dir così commemorativa, relativa all’evento religioso della nascita del Salvatore, una funzione per dir così laica. Esso assunse dalla metà del Settecento, ossia dal periodo di massima diffusione, una funzione che potremmo definire di testimonianza o di documento storico. Di ciò non erano forse molto consapevoli tutti quei napoletani, aristocratici o appartenenti alla borghesia, che si dedicavano con entusiasmo alla realizzazione del presepe. Ma questo aspetto apparve ben chiaro ad una serie di osservatori esterni, persone non coinvolte né culturalmente, né emotivamente nel fenomeno e quindi più obiettivi. Per loro quel presepe era una sorta di tableau parlant, avente lo scopo di far conoscere le usanze, le opinioni e le inclinazioni degli abitanti di Napoli che mescolano cose tra loro assai diverse con estrema naturalezza: l’allegria alla tristezza, il sacro al profano, la monelleria alla devozione, la gravità alla buffoneria più estrosa e libera.
Pertanto molte delle figure presenti sul presepe sono state mutuate dalla realtà, dagli accadimenti nella città di Napoli, rimasti impressi nella immaginazione collettiva per la loro eccezionalità, in quel XVIII secolo in cui esso andava acquisendo la sua fisionomia.
Abbiamo già accennato al motivo per cui la scena della Natività veniva sistemata tra le rovine di un tempio romano. Ciò discendeva direttamente dalle scoperte archeologiche di Pompei ed Ercolano fatte proprio in quel secolo, sotto il regno di Carlo di Borbone e che ebbero una enorme risonanza nell’Europa tutta.
Per quanto riguarda il corteo degli orientali al seguito dei magi esso ha la radice in un avvenimento di estrema importanza per il Regno di Napoli e frutto della politica mercantile avviata da Carlo di Borbone. Questi intendeva dare uno sbocco alle attività commerciali del suo regno, danneggiate dalle attività dei pirati in Mediterraneo. Avviò per questo, con l’aiuto del conte Claude Alexandre Bonneval, un francese convertitosi all’ Islam e che ebbe dal Sultano Mahmud I importanti incarichi a corte, un trattato di pace ventennale firmato a Costantinopoli il 7 aprile 1740. Il trattato fu sottoscritto per conto del Sultano della Sublime Porta dal ministro Hacji Hüssein Effendi e per conto di Carlo di Borbone, da Giuseppe Finocchietti di Faulon.
Per rafforzare i rapporti bilaterali nell’estate del 1741 fu inviata a Napoli, dal Sultano, un’ambasceria capeggiato dallo stesso Hacji Hüssein che aveva firmato l’accordo. L’ambasceria era costituita da 60 persone che giunsero a Napoli a bordo di due navi napoletane, la San Filippo e la San Carlo. Furono ospitati, per i due mesi della loro permanenza, nel palazzo del principe Mirelli di Teora alla Riviera di Chiaia, adattato alle usanze ed alle abitudini degli ospiti con un notevole impegno economico.
Il pittore Giuseppe Bonito fu incaricato di ritrarre gli ospiti ed infatti la memoria di quell’evento è oggi affidata ai suoi dipinti conservati a palazzo reale a Napoli ed anche a Madrid. Michelangelo Schipa ne ha lasciato una relazione scritta. La visita suscitò l’interesse a la curiosità di tutta la popolazione. L’inviato del Sultano fu ricevuto dal re il giorno 18 settembre alle ore 15. Al Largo di palazzo furono schierati i reggimenti della Guardia Italiana, della Guardia Svizzera e delle Guardie del Corpo. Alla Porta di Chiaia vi erano dei battaglioni del Reggimento della regina e lungo via Chiaia compagnie di Granatieri, il Reggimento di Cavalleria e quello dei Dragoni. Fu una vento memorabile. Il corteo lunghissimo occupò tutte le principali vie della città suscitando l’entusiasmo di tutti i napoletani. L’ambasciatore piemontese lasciò scritto di quei giorni:
“Gli abiti alla turchesca, ricamati d’oro … 40 turchi vestiti dei colori più diversi, con le babbucce gialle e turbanti in testa … il modo di stare a cavallo … Ho osservato che questa gente sta bene a cavallo e sanno maneggiarli benissimo.”
Qualcun altro scrisse a proposito di quei giorni:
“Si videro passeggiare per le vie di Napoli i componenti di un’ambasceria turca … ne’ lor pittoreschi abiti; se ne seppero gli strani gusti, i singolari costumi; si ammirarono bestie mai vedute, mandate o fatte credere dono del Gran Signore. Quel bagliore di mantelli e di colori, quelle novità di persone e di cose potean riguardarsi come altrettante prove della potenza del nostro paese. Se ne levò alto rumore e ne rimase l’eco per lunghi anni.”
Insomma, in quella Napoli tornata ad essere capitale di uno stato indipendente da poco tempo, quell’evento suscitò meraviglia ed anche orgoglio nella popolazione tutta. Pertanto il riverberarsi di esso sul presepe che allora si stava affermando nella veste che poi manterrà fino ai nostri giorni, appare più che altro inevitabile. E lo spettatore può osservare in quel corteo numerosi personaggi d’alto rango, sia civili che militari, riccamente abbigliati con vesti intessute di oro e d’argento, lunghe palandrane laminate e manti di ermellino. Il lor insieme dà l’idea di una ricchezza fantastica e di un lusso sfrenato esibito spavaldamente. Sono seguiti da schiere di paggi, servitori e da suonatori di strumenti musicali. Del corteo fanno parte anche dignitari georgiani tra cui, caratteristica figura è quella della georgiana. Costei dalla pelle candida e luminosa è una sorta di ritratto della bellezza femminile in voga nel Settecento. Reca un’acconciatura alta impreziosita da un diadema adorno di perle, acconciata alla moda, le pende dal fianco, sospesa ad un catenella un “canciaro”, sorta di pugnale turco prezioso e dalla lama ricurva.
Non mancano animali di ogni tipo quali cavalli riccamente bardati, cammelli e dromedari, e scimmie e pappagalli, accuditi da una folla di schiavi dalla pelle nera ed anche bianca. Spesso è presente, per un di più di esotismo un elefante. Tale animale sembra fosse stato mandato in dono a Carlo di Birbone dal Sultano e trascorse, poi, la sua vita nel parco della Reggia di Portici.