
-di Giuseppe Esposito
La Napoli – Portici fu in assoluto la prima ferrovia ad essere costruita nella penisola italiana, la sua realizzazione avvenne nel Regno delle Due Sicilie,commissionata da Ferdinando II ed inaugurata il 3 ottobre del 1839.
La solenne cerimonia, organizzata per l’occasione ebbe luogo a Portici, non essendo ancora pronta la stazione di Napoli che si stava realizzando nella via, allora detta, dei fossi, in prossimità del Carmine.
Quel primo tratto, sebbene di breve lunghezza, ebbe un’importanza enorme dal punto di vista psicologico e di immagine proiettando infatti la Nazione Napoletana tra le grandi potenze europee dell’epoca.
Il progetto della ferrovia era stato presentato dall’ingegnere francese Armand Bayard de la Vingtrie al primo ministro di Ferdinando II, il Marchese Santangelo. La scelta del francese era motivata dal fatto che egli riteneva il Regno di Napoli quello più aperto ad iniziative di tal genere poiché esso possedeva già la più grande e moderna flotta mercantile.
Bayard si offriva di costruire l’opera a sue spese, in cambio della privativa per 99 anni. Ferdinando II che era un entusiasta del progresso tecnico approvò subito il progetto e vi dette l’avvio con una serie di decreti che imponevano una cauzione di 100.000 ducati e fissavano la durata delle privativa a 80 anni, alla fine dei quali la proprietà esclusiva dell’opera sarebbe tornata allo stato. In quei decreti furono fissate anche le tariffe per il trasporto sia passeggeri che merci.
I lavori iniziarono il 3 giugno del 1836 e dopo 13 mesi, l’8 agosto del 1837 il primo tratto, a binario unico, giunse al Granatello di Portici. Tuttavia, poiché il progetto prevedeva il doppio binario, il re impose che la sorveglianza dei lavori fosse affidata agli ingegneri Ercole Lauria e Luigi Giura.
Per quanto riguarda invece il materiale rotabile, le prime locomotive furono acquistate dalla inglese Longridge Starbuck and Co., mentre i vagoni furono costruiti nelle officine di Pietrarsa. In queste officine furono poi realizzate le altre locomotive entrate in servizio. Le locomotive costruite a Pietrarsa furono anche sportate negli altri stati italiani. Il Piemonte ne acquistò un gruppo di otto.
In occasione del primo viaggio il re salì a bordo davanti alla villa Carrione di Portici e pronunciò un discorso nel quale ebbe a dire, tra l’altro:
Questo cammino ferrato gioverà, senza dubbio, al commercio e, considerando come tale nuova strada debba riuscire di utilità al mio popolo, assai più godo al pensiero che, terminati i lavori fino a Nocera ed a Castellammare, io possa vederli tosto proseguiti per Avellino, fino al lido del Mare Adriatico.
Su quel primo convoglio, composto da vari vagoni furono accolti 48 invitati, 60 ufficiali, 30 fanti, 30 artiglieri e 60 marinai. Sull’ultimo vagone era sistemata la banda della guardia reale.
La stazione di Napoli in via “Dei fossi” era dotata di un grande salone per i passeggeri, di uffici, magazzini, rimesse per i trani, e di una grande officina equipaggiata di tutto punto per le riparazioni. Lungo il percorso furono realizzati ben 33 ponti.
Nel 1840 la ferrovia giunse a Torre Annunziata, nel 1842 a Castellammare di Stabia e nel 1844 a Nocera.
A fine 1838 i passeggeri trasportati ammontavano a ben 58.000 e l’utile per la società ammontava al 14% dell’investimento. Per tale motivo fu deciso di abbassare i prezzi del biglietto per permettere anche alle persone meno abbienti di usufruire del nuovo sistema di trasporto. Decisone che oggi, col nostro capitalismo di rapina sarebbe impensabile.
Intanto erano stati avviati i lavori per portare la ferrovia a Caserta ed a Capua, dove giunse nel 1844. Nel 1855 il re affidò una concessione al signor Emmanuele Melisurgo per la costruzione della Napoli – Brindisi ed un’altra concessione al barone de Riseis per la Napoli – San Bendetto del Tronto, con diramazioni per Ceprano, Popoli, Teramo e Sansevero. Era inoltre in progetto di prolungare la Napoli Capua fino a Cassino per congiungersi poi alle ferrovie dello Stato della Chiesa. Si prevedeva di prolungare la tratta per Avellino fino a Bari, Brindisi e Lecce. Mentre un altro tratto, attraverso la Basilicata doveva giungere fino a Taranto.
Tutto ciò dimostra quanto fosse falsa la narrazione post unitaria secondo la quale le ferrovie borboniche fossero state realizzate solo per servire le residenze reali. L’unico appunto che si possa muovere riguarda la lentezza forse della realizzazione, ma era nella concezione dello stato napoletano che gli investimenti dovessero essere fatti tenendo conto delle disponibilità finanziarie del momento. Se è vero che subito dopo l’unità il Piemonte vantava ben 866 Km di ferrovie è altrettanto vero che la loro realizzazione contribuì, assieme alle spese per armamenti a quel mostruoso debito pubblico che spinse poi all’aggressione ai danni del Regno del Sud. Dopo l’unificazione, del resto, i governi sabaudi trascurarono completamente lo sviluppo delle reti ferroviarie meridionali, lasciando le cose, così come le avevano trovate.
Si potrebbe concludere dunque con le parole del cancelliere svedese del XVI secolo, Axel Oxenstierne:
Videbis, fili mi, quam parva sapientia regatur mundus.