25 ottobre, World Pasta Day: dove e come nasce il piatto italiano per eccellenza

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-di Giuseppe Esposito-

Cade oggi la Giornata Mondiale della Pasta. È la ventitreesima da quando fu istituita su un’idea della Unione Italiana Food e dell’IPO (International Pasta Organization), per celebrare uno dei piatti più diffusi nel mondo.

Se ancora qualcuno pensa che ad inventare la pasta furono i cinesi, sappia che è in errore e Marco Polo non c’entra nulla. La pasta nacque in Sicilia al tempo della dominazione araba e la prima menzione che si trova sull’argomento è attribuita al geografo arabo Ebridi, che, in un suo scritto, accennò ad “un cibo di farina in forma di fili”. Quei fili erano prodotti a Trabia, ossia nella Palermo di allora.

Dalla Sicilia la pasta fu esportata in continente e giunse a Napoli e quindi in Liguria. Soprattutto a Napoli ebbe un grade successo. Il motivo per cui essa trovò una grande accoglienza in quelle due regioni è che esse disponevano di un clima secco e ventilato che favoriva naturalmente il processo di essiccazione che avveniva en plein air.

A Napoli la conversione dei suoi abitanti all’uso massiccio di pasta fu favorito dalla grande carestia che la pessima amministrazione spagnola aveva causato nel Regno di Napoli, intorno all’anno 1621. A causa di essa la popolazione di tutto lo stato fu ridotta alla fame ed acquistare carne e  pane divenne pressoché impossibile. Ma anche il consumo di verdure, per cui i napoletani erano chiamati mangia-foglie, si ridusse quasi a zero per la crisi che aveva investito la campagne.

Per fortuna proprio in quel tempo i produttori di pasta che erano sparsi soprattutto tra Castellammare, Gragnano Torre Annunziata e Cicciano, avevano introdotto delle notevoli migliorie al processo produttivo, con l’invenzione della gramola, del torchio e della filiera. Quelle innovazioni permisero di abbassare di molto il costo della pasta e di risolvere, almeno in parte gli effetti della carestia, permettendo alla popolazione stremata di sfamarsi.

L’industria della pasta divenne assai florida e nei primi decenni del XIX secolo, nella sola Gragnano si contavano più di cento pastifici. Via Roma divenne la via dei Maccheroni. Lungo il suo percorso si poneva la pasta ad essiccare. Il suo orientamento e persino l’altezza degli edifici erano stati studiati a tavolino per favorire il passaggio del vento e l’esposizione al sole.

Per la pavimentazione si adottarono i basoli in pietra lavica per la sua caratteristica di incamerare abbondantemente il calore solare e di rilasciarlo poi con gradualità. Le strade e le piazze di Gragnano profumava di pasta e le sue Maestrie erano esperte del tempo e delle variazioni climatiche alla stregua dei naviganti. Bisognò attendere il 1919 perché un ingegnare di Torre Annunziata, di nome Cirillo, inventasse un sistema artificiale che permettesse di essiccare la pasta anche in locali chiusi.

A rendere ancora più diffuso l’uso della pasta fu l’invenzione della salsa di pomodoro che divenne la compagna indispensabile di maccheroni e spaghetti. Nella Napoli borbonica la pasta conquistò in egual modo nobili e popolani. Persino Ferdinando IV ne era ghiottissimo. All’inizio gli piaceva mangiare gli spaghetti con le mani, al modo dei popolani, suscitando lo scandalo nella moglie la regina Maria Carolina.

 

Per questo ed anche per poter mangiare più agevolmente commissionò al ciambellano di corte Gennaro Spadaccini di mettere a punto un o strumento più agevole delle scomode forchette disponibili fino ad allora. Il buon ciambellano si applicò con attenzione allo studio e, dopo, molte prove condotte in cucina, mise a punto una forchetta più corta e meno appuntite di quelle allora in uso e che il luogo di tre aveva ben quattro rebbi. Lo strumento ea talmente perfetto che è giunto fino a noi inalterato, senza aver mai subito modifiche.

Se ad amare la pasta erano si al nobiltà che la plebe, ciò che li distingueva era il tipo di cottura. I popolani amavano gli spaghetti “vierde vierde”, ossia duri come i frutti ancora acerbi, mentre nelle cucine aristocratiche si faceva cuocere la pasta per più di un’ora e la si consumava scotta. Dovette pensarci il gastronomo napoletano Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, a stabilire una regola valida per tutti: la pasta andava mangiata al dente.

Altra differenza dovuta al censo, ma prima dell’avvento del pomodoro era il condimento dei maccheroni e degli spaghetti. I nobili potevano permettersi di condirli con burro, vaniglia, zucchero e altre spezie, mentre i popolani si accontentavano della pasta appena sgocciolata e condita con un filo d’olio, talvolta con un po’ di strutto.

Dall’Italia la pasta arrivò a Parigi e si diffuse in tutta la Francia grazie alle compagnie di attori italiani e della maschera di Pulcinella, gran divoratore di spaghetti.

In Russia fu uno dei cuochi più famosi del tempo ad introdurli, cioè Francesco Leonardi assunto dall’imperatrice Caterina II, per le sue cucine.

Ma col passare del tempo la pasta al pomodoro prese ad essere conosciuta e consumata in ogni angolo del mondo e la fantasia culinaria continua ancor oggi a sbizzarrirsi sui suoi abbinamenti. Resta il fatto che comunque la si prepari, essa si porta dietro un eterno profumo d’Italia.

Immagine in b/n Pastificio di Gragnano da ilvecchiopastificiodigragnano.com

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