Il 13 gennaio del 1907, il quotidiano parigino, lanciava sulle sue pagine, una sfida all’apparenza impossibile, con l’annuncio seguente:
“Quello che dobbiamo dimostrare oggi è che, dal momento che l’uomo ha l’automobile, egli può fare qualunque cosa e andare dovunque.
C’è qualcuno che accetti di andare, nell’estate prossima da Pechino a Parigi in automobile?”
Fu così che nacque il raid Pechino – Parigi, cui presero parte cinque equipaggi con altrettante vetture. Furono infatti solo cinque le squadre che ebbero il coraggio di raccogliere la sfida di raggiungere Parigi, partendo da Pechino, a bordo di un mezzo tecnicamente ancora insicuro e coprendo la straordinaria distanza di 16.000 chilometri, attraverso la Cina, la Russia e l’Europa.
La gara non prevedeva alcun premio e lungo il percorso non vi sarebbe stata alcuna assistenza né tecnica né di altro genere. Era solo una sfida alla tecnologia ed al coraggio di uomini che non temevano di affrontare un’avventura davvero piena di imprevisti e senza precedenti. L’unico scopo era quello di dimostrare che l’automobile, fino ad allora considerata nient’altro che un giocattolo per andare, tutt’al più a passeggio, era invece un mezzo di trasporto in grado di fare concorrenza ai treni ed alle navi.
Al fine di selezionare i partecipanti ed evitare candidature che avessero solo uno scopo propagandistico, fu fissata una tassa di iscrizione di duemila franchi, che sarebbe stata rimborsata solo agli equipaggi che si fossero presentati ai nastri di partenza a Pechino. La gara prese l’avvio la mattina del 10 giugno 1907 alle ore otto in punto. Presenti al via erano gli equipaggi seguenti:Charles Godard e Jean Taillis con una SPYKER, automobile olandese,George Cormier e Victor Colignon, ciascuno con una De Dion Bouton,Auguste Pons con un triciclo CONTAL, Scipione Borghese con una Itala, guidata dal suo chauffeur Ettore Guizzardi e con al seguito il giornalista Luigi Barzini, inviato del Corriere della Sera.
Scipione Borghese mise nella preparazione della gara una attenzione ed una cura che si sarebbero poi rivelate decisive. Già nella scelta del mezzo si era orientato verso un automobile potente, a differenza degli altri che avevano scelto dei mezzi leggeri e di potenza limitata ai 10 – 15 cavalli. L’Itala di Borghese era invece un’automobile del peso di 1,5 tonnellate, 45 cavalli di potenza ed una cilindrata di 7500 c.c. Si portò inoltre a Pechino con largo anticipo per poter fare un sopralluogo almeno della prima parte del percorso, a cavallo o a dorso di cammello, prendendo appunti e misurando la larghezza dei vari passaggi più stretti.
Il regolamento non prevedeva un tracciato preciso, ma la mancanza di strade carrozzabili impose, in pratica, un unico percorso per tutti i partecipanti.
L’equipaggio italiano fu quello che meglio affrontò la prima parte del tragitto potendo superare meglio i tratti difficili, grazie alla potenza del motore, e potendo viaggiare ad una velocità più elevata nei tratti che lo permettevano. Gli accorgimenti adottati si rivelarono preziosi, come quello, ad esempio, di mettere al posto dei parafanghi delle assi di legno smontabili che potevano essere usate come rampe per il superamento di ostacoli o di terreni difficili. Inoltre, cosa del tutto nuova per l’epoca, furono adottate le stesse gomme sia per le ruote anteriori che per quelle posteriori. Cosa questa che permetteva di ridurre l’entità delle scorte e di ridurre i consumi.
Partiti alle otto in punto del 10 giugno da Pechino, già nella prima parte del percorso l’equipaggio italiano aveva accumulato un vantaggio tale de permettere ai nostri di deviare verso San Pietroburgo, allungando il tragitto di ben mille chilometri.
La Pirelli e la Dunlop fecero a gara per fornire le gomme, instaurando, così, una sorta di sponsorizzazione ante litteram.
Il giorno 10 agosto, alle ore quattro e un quarto l’equipaggio italiano a bordo dell’Itala giunse a Parigi, accolto da una enorme folla di giornalisti e di curiosi. Il secondo, Godard, a bordo di una delle Spyker, giunse solo il 30 agosto, con un ritardo di ben venti giorni, rispetto agli italiani. Dell’arrivo delle due De Dion-Bouton non si ha notizia. Il loro ritardo fu così elevato che nessuno si prese la briga di registrarlo.
Quanto invece al triciclo Contal di Pons, esso era andato distrutto nelle sabbie del deserto del Gobi ed il suo equipaggio fu salvato, solo per caso da una carovana di nomadi mongoli, scampando così a morte certa.
Godard, che aveva partecipato alla gara con una Spyker presa a prestito, si era poi venduto, sulla parola, i pezzi della vettura e fu per questo arrestato per truffa.
Il raid fu un evento mediatico di portata mondiale. Infatti Luigi Barzini trasmetteva il racconto delle varie fasi della gara, da remote stazioni postali e telegrafiche. I suoi resoconti giungevano nelle redazioni del Daily Telegraph e del Corriere della Sera, con dieci o dodici ore di ritardo e finivano quindi sulle pagine di giornali in tutto il mondo.
Alla fine, tutti gli articoli andarono a costituire un volume dal titolo: “Metà del mondo visto in automobile” che fu tradotto in ben undici lingue e fu un successo editoriale senza paragoni, per l’epoca.
L’Itala, utilizzata per la gara, perfettamente restaurata, fa oggi bella mostra di sé al Mauto, il Museo Nazionale dell’Automobile di Torino.