Tantissime sono le leggende legate al territorio salernitano che abbracciano un ampio periodo storico che parte dal medioevo arrivando fino addirittura al XVIII secolo. Molte di esse raccontano di fatti realmente accaduti intrecciando la narrazione ad elementi di pura fantasia. Una, in particolare, d’epoca longobarda, breve e poco conosciuta, riporta alla memoria, con il fascino che contraddistingue ogni leggenda, alcune reali vicissitudini storiche salernitane.
Si tratta della storia che vede protagonista il Duca longobardo Grimoaldo III, figlio del più noto Arechi II (che da Benevento si trasferì a Salerno intorno al 770 d.C.) e di Adelperga (figlia del re Desiderio, donna di grande cultura e dal forte carattere).
Rimasto per un lungo periodo ostaggio dei franchi di Carlo Magno, dopo la caduta del regno longobardo di Desiderio nel 774 d.C. (l’intento di Carlo Magno era quello di frenare la sempre maggiore autonomia di Benevento), Grimoaldo, visse per un lungo periodo ad Aquisgrana apprendendo le usanze e la cultura dei franchi. All’età di 24 anni, tuttavia, alla notizia dell’improvvisa morte di Arechi II e del fratello Romualdo, il giovane rampollo ebbe l’approvazione, da parte di Carlo Magno, di scendere in Italia ma con precisi accordi: contrastare il Principe longobardo Adelchi (figlio di Desiderio), di presentare documenti solo in nome di Carlo, abbattere le mura realizzate da Arechi II a Salerno e sbarbare tutti i longobardi dell’Italia centro-meridionale come segno di sottomissione secondo l’usanza dei franchi. Fingendo di accettare tali compromessi, pur di ritornarne in Italia, Grimoaldo, in realtà, non seguì pienamente le direttive di Carlo Magno.
Secondo la leggenda, infatti, mentre attraversava le mura salernitane, Grimoaldo fu sopraffatto da una profonda tristezza al sol pensiero di abbattere quelle fortificazioni, volute dal padre, che resero la città di Salerno forte e importante. Appena giunto a Salerno, sempre secondo la narrazione, un uomo si sarebbe avvicinato per elargirgli un prezioso consiglio per rendere la città inespugnabile e sempre illesa nonostante le direttive del re Carlo, in cambio però di una richiesta molto particolare: i variopinti abiti di Arechi II utilizzati durante le festività pasquali. L’idea era di abbattere le mura arechiane, come stabilito dal re Carlo, in particolare quelle più orientali in corrispondenza dell’attuale via Velia (dove scorreva a cielo aperto il torrente Faustino, l’attuale Rafastia) ma di realizzarne, poi, altre più possenti qualche metro più ad ovest, aggiungendo ulteriori migliorie su tutte le mura difensive volute dal padre. In questo modo la presenza del torrente ad est delle nuove mura e la morfologia del territorio, non completamente pianeggiante, avrebbe bloccato ogni tentativo, da parte dei nemici, di abbattere le nuove mura anche con l’utilizzo di specifiche macchine belliche dette pietraie (una sorta di trabucco, simile ad una grande fionda lancia pietre, legata ad un palo ben saldato a terra). Grimoaldo accettò di buon grado il consiglio, abbattendo le mura orientali e costruendone di nuove poco più ad ovest, rispettando pienamente il volere di Carlo. In ultimo, Grimoaldo onorò il patto con l’uomo donandogli il vestito del padre Arechi II, e fu lui stesso a vestirlo. Esiste una interessante planimetria che ricostruisce le antiche mura longobarde nell’area dell’Orto Magno (antico quartiere posto ad est del Capoluogo) realizzata dallo storico Arcangelo Amarotta per il libro dal titolo “Salerno longobarda”. Su tale planimetria storica ben si scorge il tratto, segnato con la lettera “b”, delle mura definite dal Castelluccio di epoca arechiana (anni ’80 dell’VIII secolo d.C.) ancora tutt’ora esistente. Descritto, nel 1935, anche dallo storico De Angelis e negli ultimi anni da Matteo La Rocca, è presente allo stato attuale, nonostante si noti ancora il muro di ronda, il torrino quadrato affiancato da una torretta con cupolino arabeggiante, in imbarazzanti condizioni di degrado e di abbandono. Inoltre, sempre nella planimetria, si evidenzia anche il tratto di mura orientali, quelle legate alla leggenda, mura che furono effettivamente abbattute (evidenziate con la lettera “g”) e ricostruite sul tratto indicato tra le lettere “d” ed “e”, esse vengono così descritte: “(d) ed (e) muro ad occidente del rione Mutilati, tra il punto d’incontro dei mufatti (b) e (c) e la Torretta di via S. Benedetto. Il De Angelis lo descrive (lungo e vecchissimo) e lo ritiene eretto da Grimoaldo coi materiali di risulta del preesistente muro (g) parzialmente demolito. (g) Secondo il De Angelis era il muro parzialmente distrutto da Grimoaldo e arretrato in (d)-(e). L’autore lo descrive (costruito con pietrame da spacco… della stessa fattura dell’edificio del castello) e lo fa risalire a una non meglio precisata (epoca romana). Il Castelluccio lo assegna a Grimoaldo”.