Il caso: Covid 19, il caos dei temponi. La testimonianza “io positiva al Covid, ma non per la piattoforma Asl”

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Veniamo raggiunti da una nostra lettrice che è stata protagonista di una vera “odissea” in fatto di tamponi Covid 19. Si tratta di una dipendente di banca. Prima lei, poi il marito, sono risultati positivi al Covid 19, di qui il caos.

Facciamo un passo indietro.

Il 17 ottobre 2020 la signora accusa i primi sintomi del virus nella filiale per cui lavora, dove, precedentemente, un collega ed una coppia di clienti erano risultati positivi al Covid 19. Subito viene attivata dal suo medico di base la procedura per il tampone all’ASL di Nocera che verrà effettuato dopo appena due giorni, il 19 ottobre.

Dopo 5 giorni il responso: l’ esito è positivo. Dopo aver manifestato i primi sintomi, il 26 ottobre anche il marito e la figlia della signora si sottopongono al tampone. Una settimana dopo, un SMS dichiara la positività del marito e la negatività della figlia. Ma  qualcosa, aprendo il file, non quadra: i dati riferiti all’uomo non coincidono, persino il cognome è sbagliato. Di qui il dubbio della signora: ” si tratterà di mio marito o c’è stato un errore?”. Vani sono stati i tentativi di entrare in contatto con qualcuno all’ASL a cui hanno fatto seguito ben 5 PEC a cinque nominativi diversi. Tutto tace.

Solo dopo circa 20 giorni c’è stata la rettifica dei dati del marito, facendo vivere quest’ultimo,  nel frattempo, nell’incubo più totale.

L’ASL avrebbe dovuto poi contattare la signora per la terapia, cosa che non avviene. La signora si rivolge al medico di base che le da la terapia  via whatsApp. Verso la fine del mese di ottobre, inizi di novembre, l’ASL avrebbe dovuto contattare la signora  per effettuare il secondo tampone, cosa che non accade. La signora invia svariate email all’ASL per ricevere il primo referto di positività e dimostrare il tutto  alla banca per cui lavora, dunque con il  riscontro  dell’ASL.

Le email inviate  non raggiungono il destinatario per casella postale piena. La signora si rivolge a strutture private per il tampone  e l’esito sarà negativo per lei ed il marito. Intanto l’ASL risponde solo il 13 novembre con una email in cui  afferma che, per fare il tampone di controllo si rende necessaria la certificazione, data dal referto, della prima positività.

Di qui il caso: la signora non ha mai ricevuto dall’ASL il referto della prima positività al Covid 19 e dunque, dopo aver reclamato il suo diritto come paziente ad avere almeno il referto che attestasse la sua prima positività, riesce a strappare un appuntamento. Viene fatto il secondo tampone alla signora ed al marito. Dopo qualche giorno si sa il risultato del tampone del marito: negativo. L’esito del secondo tampone della signora non le sarà mai comunicato.  “Perso” anche questo.

Dopo innumerevoli telefonate fatte dalla signora all’ASL giunge notizia, tramite telefonata, che la cartella riguardante la prima positività della signora è andato persa e soprattutto, il  nominativo della stessa, non risulta  nell’archivio di coloro che sono stati affetti dal Covid 19. L’ASL consiglia allora  di fare il sierologico presso una struttura privata per far risultare l’eventuale precedente positività in base alla presenza  degli anticorpi…

Imponendosi, la signora richiede  con un urgenza il terzo tampone, che sulla piattaforma ASL risulta comunque essere il primo…

Il 30 novembre il risultato, negativo. Improvvisamente l’ASL comunica di aver ritrovato il primo referto di positività.

Storia di ordinario caos?

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