Dopo essere state sottoposte in una base logistica in Slovenia ,ad un processo di adulterazione che e rendeva idonee alla carburazione le partite di merce venivano caricate su autocisterne dirette in Italia, scortate da documentazione fiscale del tutto falsa, che gli autisti avevano cura di distruggere non appena varcata la frontiera, sostituendola con quella di accompagnamento specificamente prevista per coprire il restante tragitto nel territorio nazionale (attestando il trasporto di gasolio per autotrazione ad imposta assolta)
Cautela adottata per superare gli eventuali controlli su strada della Guardia di Finanza:
i carichi irregolari proseguivano infine verso un deposito petrolifero dell’hinterland milanese
hub di distribuzione attraverso il quale le partite di carburante venivano immesse tranquillamente in consumo presso distributori all’ingrosso e tramite la rete delle cc.dd. “pompe bianche” (o“no logo”), gestite da membri delle associazioni o comunque da società clienti.
Nel porre in essere le diverse condotte fraudolente che solo diaccise, hanno determinato complessivamente un’evasione fiscale di oltre 11 milioni di euro, le associazioni si avvalevano anche di società “di comodo”, imprese prive di qualsiasi consistenza economica, struttura operativa o personale dipendente, il cui compito era solo quello di farsi carico dell’IVA derivante dalle vendite, senza poi adempiere ai conseguenti obblighi di versamento
Una perdita per il Fisco quest’ultima, ancora più grave, quantificata in quasi 99 milioni di euro, tenuto conto anche dei riflessi derivanti dalla ricostruzione delle posizioni fiscali dei vari soggetti economici coinvolti. Ed infatti, le “cartiere” apparentemente attive in
sedi dislocate in tutto il territorio nazionale ed intestate a soggetti prestanome, erano inserite in un più complesso meccanismo di frode “carosello”, finalizzato al
l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti che garantiva la creazione di “schermi” tra i punti di approvvigionamento del prodotto petrolifero ed i reali utilizzatori, i quali, “risparmiando” sul pagamento dell’Imposta sul Valore Aggiunto, potevano poi praticare un prezzo di rivendita più competitivo. Per avere un’idea di quanto sia stato lucroso il meccanismo messo in piedi basta considerare che, per ogni litro di gasolio
venduto ad un prezzo medio “alla pompa” di 1,50euro, gli indagati ottenevano un indebito “risparmio” di circa 27centesimi di IVA e 60 di accise, per un totale diquasi90 centesimi al litro di imposta evasa.

Nel tempo, gli éscamotage sono stati anche adeguati ai mutamenti normativi nella disciplina sugli acquisti di carburante. Ne è una prova l’accorgimento adoperato per eludere la responsabilità “in solido” nell’assolvimento dell’IVA
introdotta nel 2018a carico dei depositi fiscali. In quell’ occasione, gli associati hanno iniziato a far uso di “lettere d’intento” false dichiarando fittiziamente il possesso della qualifica di “esportatori abituali” per continuare ad acquistare gasolio senza il pagamento dell’imposta.
Nell ambito della presente inchiesta, le indagini patrimoniali e l’analisi delle segnalazioni per operazioni sospette pervenute dagli istituti bancari hanno consentito di monitorare i rilevanti profitti conseguiti dai sodalizi sistematicamente trasferiti alle proprie società estere
(vere e proprie “casseforti”) per impedirne la tracciabilità, ovvero reimpiegati nel territorio nazionale per l’acquisizione di quote societarie, impianti di stoccaggio e di distribuzione di prodotti energetici.