La Grecia in mostra a Pompei

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Reperti in mostra da Napoli, Londra, Atene-

Tra l’area campana e il mondo greco vi è da sempre un’osmosi, che oltrepassa i rapporti commerciali e gli scambi economici, superando le mere conquiste territoriali e l’espansione dei popoli. Perché Campania e Grecia sono parti di un unico territorio, che scavalca i confini stessi della Magna Grecia, per creare una vera e propria civiltà mediterranea, che, ancora oggi, resta la culla da dove tutto è nato e tutto si è sviluppato.

Sono questi i concetti alla base della Mostra “Pompei e i Greci”, in corso presso la Palestra Grande degli Scavi Archeologici di Pompei, mostra che resterà aperta sino al 26 novembre 2017. Sono circa seicento i reperti storici, disposti in modo da introdurre il visitatore in un viaggio ideale all’interno di ciò che fu, raccontando la storia di un mare, e di quegli uomini che lo attraversarono, creando le prime migrazioni e i primi canali di comunicazione.

L’esposizione, allestita dall’Architetto Bernard Tschumi, gode del catalogo Electa, e raccoglie pezzi provenienti non solo dal Museo Archeologico di Napoli, ma da altre trenta pinacoteche, tra cui il British Museum (i due elmi di Gerione, per esempio) e il Nazionale di Atene. E lo scenario è l’ideale, perché proprio qui la forza inarrestabile della natura ha avuto la capacità di fermare il tempo, lasciando nei secoli immutata l’immagine di tutto ciò che fu: intanto, una delle prime sperimentazioni dell’Europa unita.

Pompei fu città etrusca, poi divenuta romana, che non aveva dimenticato i primordiali contatti con la grecità, e con i greci stessi, che avevano già fondato le prime colonie campane, da Ischia a Cuma; proprio a Cuma si svolsero le sanguinose battaglie, dalla seconda delle quali nacque Neapolis. A Pompei si parlavano tre lingue, e si rispettavano i costumi e le tradizioni altrui, sino a fonderle, per un gemellaggio che era anche incontro di civiltà e occasione di sviluppo e di crescita.

La grecità è visibile nella stessa città antica, nella costruzione, nelle vie, nelle mura; soprattutto, nelle piazze pubbliche, agorà italiche che ci ricordano come un tempo un viaggiatore poteva sentirsi a casa ovunque andasse.

La Grande Palestra, con i suoi archi, e i chiaroscuri delle luci, accoglie i visitatori con l’aria magica, e sorniona, di chi vuol mostrare quello che nessuno oggi vuol vedere, che siamo, cioè, tutti figli di uno stesso popolo; la mostra diventa così anche un’occasione per riflettere sul nostro quotidiano, sui barconi che ancora attraversano il Mediterraneo, su come quest’ultimo fosse – e rimane – l’unico tramite per raggiungere la libertà; per interrogarsi, soprattutto, su quest’Europa unita che, se da un lato ha regalato i primi decenni consecutivi senza guerre, dall’altro ha creato solchi profondi a cagione delle differenze economiche, che, all’apparenza, appaiono incolmabili.

Eppure, le somiglianze culturali tra i vari Stati sono così evidenti, che non può sfuggire come in passato la differenza non fu un ostacolo, ma, anzi, il prodigio che fece crescere una civiltà illuminata, ancora oggi Maestra in tutte le arti e in tutti i pensieri.

Questa Mostra è, dunque, molto più di una raccolta di reperti; è una strada che incanala le riflessioni del visitatore, per farle sfociare nel bel mezzo delle correnti marine, a guardare le coste, i miraggi dei nostri avi, le terre emerse che diedero vita alle prime colonie, che a distanza di secoli ancora affascinano e incantano, insegnando un modo nuovo di approcciare con il prossimo.

Il tema di riferimento, dunque, non può che essere il mare nostrum, quel Mediterraneo che occupa appena l’1% della superficie marina del globo, e che pure ha rappresentato il trait d’union tra tutti i popoli dell’antichità. Almeno, sino all’avvento delle religioni monoteistiche.

La Mostra è inoltre arricchita da tre installazioni multimediali progettate dalla Grafhics Emothion.

Giorgio  Coppola

 

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