Quando comunicare è una questione di etichetta e non sessismo.

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Ovvero quando un Sindaco scopre un’etichetta sessista ricalcando un accadimento già avvenuto.

Succede a Certaldo, in provincia di Firenze, dove il primo cittadino Giacomo Cucini ha fatto la sconcertante scoperta lavando un paio di pantaloni. Mentre li stava rivoltando per metterli in lavatrice, ha notato che l’etichetta, su cui erano riportate le istruzioni per il lavaggio, recitava: «Give it to your woman», ovvero «Dalli alla tua donna» perché li lavi.

La cosa deve aver sconcertato il primo cittadino, ma l’argomento e la causa non sono nuovi ad essere dibattuti e a scandalizzar sul web; c’è un illustre precedente, oltretutto appartenente alla stessa area politica del sindaco, tale da minare l’autenticità della notizia e configurare la questione come un plagio, un inutile buzz, architettato ad arte, il cui unico scopo è quello di far parlare di sé…. una sorta di “Dursata” pubblicitaria.

Già nel febbraio del 2015 c’era stato infatti un caso che riguardava una felpa della Shoeshine, la cui scritta testualmente recitava: “Give it to your mum, it’s her job”. Anche in quel caso, su segnalazione della coordinatrice donne Pd di Bologna e dello IAP (Istituto di Autodisciplina pubblicitaria), la scritta fu prontamente rimossa.

Aldilà dell’intento, va chiarita subito una cosa. Scrivere una frase del genere in un’etichetta, vista la prassi di oggettivizzare il corpo delle donne nella pubblicità sin dagli anni settanta, rappresenta un tentativo che, nell’ usare “un micro contenuto” mira a creare quel buzz, quel brusio… e purché se ne parli. Debbo assolutamente constatare, da tecnico della comunicazione d’impresa, che il tentativo di sviare frasi palesemente ”discriminanti e sessiste” attraverso una che possa dirsi “unicamente ironica”, ha dato luogo – con giudizio asettico e non emotivo – ad un tentativo goffo, inutile e mal riuscito di costruire una reputazione “simpatica”, avendo quindi sortito quei brand che hanno utilizzato tale espediente addirittura un effetto contrario alle intenzioni!

L’ironia, come tono e strumento di comunicazione, non solo non è adatto a tutti i brand, ma è a volte controproducente, diventando per il posizionamento delle aziende o la qualità dei prodotti un’occasione sprecata per comunicare “concetti positivi”. Quando parliamo di una scritta o di uno slogan in pubblicità, stiamo parlando della tattica e non di strategia di comunicazione. La domanda da farsi è quanto quelle frasi siano coerenti con l’immagine che tali aziende vogliano dare di sé e dei propri prodotti, in quanto a lungo andare ironia e provocazione sortiscono un effetto totalmente negativo e di scarsa affezione per i clienti. Negli ultimi anni si è fatto molto ricorso al cosiddetto “Instant marketing”, che si riferisce ad una specifica strategia che si basa sull’immediatezza, da parte delle aziende, di rispondere a dei temi caldi che impazzano sui Social Network e nella vita reale di tutti i giorni. Sfruttare la scia del momento permette di realizzare una campagna pubblicitaria, o un post che richiami a quanto è accaduto e lo colleghi ai propri prodotti o servizi, spesso con tono appunto ironico.

Se da un lato è da condannare questa tendenza del fine che giustifica il mezzo, per cui ogni frase è accettabile purché attragga like ed attenzione, devo ammettere che, tuttavia, anche questa “ossessione” per il “politically correct” spesso è un’arma usata contro le stesse aziende da parte dell’opinione pubblica, a volte anche per demonizzare o colpevolizzare eccessivamente un brand.

Personalmente credo che se si debba scandalizzare o fare dell’ironia, non solo lo si debba saper fare, ma bisogna anche calarsi nella realtà sociale e mentalità dell’opinione pubblica del tempo. Saper comunicare non è una cosa da tutti, specie alle nuove generazioni che sono molto più influenzabili; ne è una prova gli avvenimenti di questi giorni con i suicidi di due bambini. Non si può sempre invocare “il dark humor” per giustificare parole ed azioni violente sul web: urge darsi una regolata, una forte e nuova sensibilizzazione ad un corretto dei mezzi di comunicazione, e soprattutto uscire dall’isolamento generazionale e di genere, ritrovando quell’umanità ed unità perduta.

Comunicare è dunque sia una questione di etichetta che di empatia senza prescindere dalla opportuna sensibilità che si dovrebbe avere anche quando si comunica attraverso una tastiera od un cellulare.

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