Le verità oggettive

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Per tre giorni, a partire dal 13 aprile, gli utenti di facebook, ad ogni connessione, hanno trovato un nuovo avviso che li ha dirottati verso un decalogo esplicativo per riconoscere le fake news. È la nuova battaglia iniziata da Zuckerberg, evidentemente sentitosi responsabile della divulgazione mondiale di notizie false, destabilizzanti non solo per i poteri, ma anche per i semplici cittadini. E questa volta non è una bufala, come accaduto già nel 2015 e nel 2016, l’iniziativa è vera e tende a mettere in allerta tutti, o quantomeno a renderli coscienti che non tutto ciò che circola nel web ha un fondamento reale.

Eppure Facebook non è una azienda editoriale, e quindi non può essere in alcun modo avanzata una sua responsabilità; ma evidentemente appare più urgente il problema morale di quello legale.

Le dieci regole sono abbastanza semplici e di facile consultazione, e dopo 72 ore o tre collegamenti sono scomparse dalla vista. Ognuno, dunque, ha avuto il tempo strettamente necessario per immagazzinarle al fine di utilizzarle al momento opportuno.

Ciò che colpisce, però, non è la circolazione di notizie false, quanto la preoccupazione della loro esistenza, come se da esse dipendesse la sanità mentale della gente. A tal punto, che il governo tedesco ha da poco approvato un disegno di legge che prevede multe fino a 50 milioni di euro per i social network che nel giro di 24 ore non cancellino link contenenti notizie fasulle.

E però, all’incontrario, bisognerà accettare che chi cancella è portatore di verità, e che dunque esiste qualcuno al di sopra di noi capace di gestire la circolazione di news a proprio piacimento, garantendo (non si sa in base a quali parametri) la diffusione di ciò che è buono e la distruzione di ciò che è cattivo. Il virtuale rischia allora di diventare una società moralizzatrice, avente come unico scopo quello di veicolare ciò che è più conveniente.

Eppure, la diffusione dei mass media – e soprattutto di internet – avrebbe dovuto rendere le persone più coscienti e informate grazie alla veloce acquisizione di dati, spazzando via, così, epoche in cui la verità era al servizio stretto del potere. Ed è proprio la verità, dunque, a essere sacrificata sull’altare dell’oggettività: verità non è ciò che appartiene al singolo soggetto, ma ciò che è da tutti reputata tale.

Viene allora da domandarsi se c’è davvero tanto bisogno di verità in questo modo. È necessario trovare sempre un nesso di causalità in tutto ciò che accade?

Tornano allora alla mente gli insegnamenti di Niccolò Cusano, il filosofo fautore dell’ignoranza ben coltivata come migliore conquista dell’umanità. Noi non possiederemo mai su questa terra, diceva, la verità di tutte le cose. La sua lezione, volta all’accettazione della fede e ai misteri dell’universo, aveva, però, una portata estesa a tutti i campi del sapere umano.

Oggi, la diffusione dei social network, la possibilità aperta a chiunque di accedere comodamente alle notizie, ha creato un allarme sociale, che ha implicazioni politiche ed economiche tali da mettere a rischio la legittimità di elezioni, di nomine, persino di unioni tra Stati. Ed è talmente diffusa l’incertezza, che lo stesso potere ci sguazza, qualificando come fake news tutto ciò che può rivoltarsi contro. Perfino attacchi alle popolazioni con gas tossici. In questo marasma, la verità di ciò che accade vive in una nebulosa, e rischia di scatenare una guerra, senza sapere i perché.

La storia dell’uomo è costellata di misteri, e di segreti, coperti da una coltre di polvere così spessa, da non poter essere più lavata. Questi tempi moderni non sembrano essere differenti, e non sarà certo un decalogo improvvisato a lavare la coscienza di chi cerca di governare le opinioni della gente, per utilizzarle ai propri fini e consumi.

Giorgio Coppola

Disegno a cura di Sergio Del Vecchio

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