di Alfonso Amendola*
Eccola la campagna pubblicitaria “per l’Italia” con una “traduzione” ultra pop della botticelliana Venere voluta dal Ministero del Turismo ed Enit e affidata allo studio Testa. Niente di male far piccole provocazioni e omaggi e anche volontarie-involontarie citazioni di citazioni (la Venere by Chiara Ferragni è il primo passaggio).
Niente di male ad usare slogan come “open to meraviglia” che ricordano il “VeryBello” del Ministro Franceschini. Insomma, niente di male a far comunicazione ma qualche riflessione urge farla.
Parliamo di comunicazione e il passaggio immediato è verso Marshall McLuhan. Ma non il teorico del “villaggio globale” o del “medium è il messaggio”. Ma chi più di tutti ha saputo dirci che la vera dimensione per capire la comunicazione è immergersi dentro (“io non studio i media, io mi immergo nei media”).
Ecco una parola vera, profonda, decisiva è “immersione”. Essere dentro i media e, quindi, dentro la comunicazione, conoscendone forme, linguaggi, pratiche, visioni e possibilità. Soltanto immergendosi avviene il concreto processo comunicativo. Tutto il resto è bluff, approssimazione della verità, cecità narrativa, teatrino stagnante di luoghi comuni. Signore e signori vi presento la banalità, vien da dire.
Quello che spesso accade quando si decide una “campagna di comunicazione” è dare la priorità all’effetto. E più è “grasso”, provocatorio e d’impatto e maggiore è il risultato. Nulla di più sbagliato! Infatti quel che accade utilizzando una comunicazione “d’impatto” (vogliamo definirla così la Venere influencer?) è voragine del frainteso e sostanzialmente fallimento. La retorica, obsoleta e noiosa, del “basta che se ne parli” è ormai un processo desueto e davvero legato ad un falso miraggio della comunicazione.
Il semiologo della comunicazione Ugo Volli tempo fa ha sottolineato che nel processo mediale contemporaneo oggi più che mai “è fondamentale la solidarietà nella competizione”. E sembra far eco al sociologo dei media Fausto Colombo che ci ha spinto verso una basilare e sostanziale “ecologia della comunicazione” dove la comprensione e il rispetto dell’altro è fondamentale. E non per volontà di un politicamente corretto o per moralismo imperante, ma per raggiungimento dell’obiettivo. Quella materia vasta che è la comunicazione, oggi più che mai, ha sempre più necessità d’essere uno strumento in grado d’aiutarci a comprendere il nostro vivere sociale.
Quindi impariamo a negare qualsiasi valore a quella dimensione “tossica” e malsana della comunicazione amplificata dalla provocazione. Non è più tempo. Non aggiunge nulla. Anzi…
*Professore di Sociologia dei processi culturali, Università di Salerno