Alessandro Mendini: l’essenza dell’artista in mostra alla Triennale di Milano

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Dal 13 aprile scorso fino al 13 ottobre, all’interno degli spazi della Triennale di Milano, è in corso una interessante retrospettiva realizzata, in collaborazione con Fondation Cartier pour l’art contemporain, su uno dei più grandi designer italiani: l’artista e architetto, Alessandro Mendini. Dal temperamento poliedrico, fantasioso ed eclettico, Mendini ha segnato di certo delle trasformazioni importanti sia nella forma del design che nel pensiero sull’architettura della fine del XX secolo e l’inizio del nuovo millennio. L’artista nasce a Milano nel 1931 e conclude i suoi studi laureandosi al Politecnico nel 1959. Lavora inizialmente con la Nizzoli Associati alla realizzazione dell’Italsider di Taranto e dopo alcuni anni dedicati anche al giornalismo, si associa al Gruppo Alchimia, fondato a Milano nel 1976 da Alessandro e Adriana Guerriero. Il gruppo nasce con l’intenzione di creare un’equipe d’avanguardia post-radicale non temporaneo (come spesso accadeva negli anni ’70) proiettata alla ricerca del nuovo, al di là della mera finalità produttiva, per l’appagamento di creare, realizzare, progettare novità con il fine ultimo di poter piacere! Così scrive il Manifesto del Gruppo Alchimia così descrive il suo fine ultimo: “Per il gruppo Alchimia ciò che conta oggi è l’atto stesso del “disegnare”. Disegnare, inteso come atto di fare segni, non è “disegnare”, né “progettare”: è invece espressione libera e continua del pensiero, reso visivo. Un movimento “motivato”.

Alessandro Mendini we Wrocławiu di L4red0 è distribuito con licenza CC BY-SA 4.0 .

La creatività del gruppo si esplicata in molte attività interdisciplinari, attraverso seminari, arti decorative, studio delle scenografie teatrali, architettura e anche design di abbigliamento e realizzazione di estrosi mobili.

versioni di cavatappi CC BY 3.0 Mendini

Mendini collabora, inoltre, con numerose aziende tra cui Alessi, Cartier, Swarovski e Tucano. Nel 1977 fonda, assieme a Valerio Castelli e Giovanni Cutolo, la rivista italiana di design “Modo”. Diviene, pochi anni dopo, direttore di un’altra importante rivista, “Domus”, aprendo la stessa alle le neoavanguardie artistiche, di cui egli stesso è parte come esponente di punta della corrente postmoderna del design. Dirige, per un certo periodo, anche il periodico di architettura e design “Casabella”. Mendini ottiene numerosi riconoscimenti tra cui ben tre “Premio Compasso d’oro” rispettivamente nel 1979 (per la rivista “Modo”), 1981 (per lo Studio “Alchimia”) e 2014 (alla”Carriera”); nello stesso anno riceve anche il prestigioso “European Prize for Architecture”.

Samsung Gear S2 Classic CC BY 2.0

Il suo estro è visibile anche negli orologi di ultima generazione (gli smartwatch) realizzati in collaborazione con la Samsung. Lo spazio Cubo della Mostra di Milano ospita ben 400 opere del designer, tutte provenienti da collezioni private e pubbliche (ad esempio il Museo Abet Laminati o la Fondation Cartier o ancora il Vitra Design Museum). Il titolo della Mostra è emblematico “Io sono un drago. La vera storia di Alessandro Mendini” titolo che gemma da un suo famoso autoritratto realizzato nel 2006 nel quale, con grande autoironia, si rappresenta con il corpo da architetto, la testa da designer, il petto da manager, le mani da artigiano, la pancia da prete, la coda da poeta e le gambe da grafico, esprimendo in pieno il carattere di un artista, designer e progettista molto complesso e poliedrico. Il percorso espositivo è diviso in sei tematiche. La prima è l’Identikit, una esposizione di disegni autoritratti del designer realizzati durante l’arco della sua vita. Segue la Sindrome di Gulliver in cui si presentano un insieme di oggetti fuori scala, passando dalla grande scala della sua famosa poltrona Proust o la Petite Chathédrale, alla riduzione di alcune sue realizzazioni prodotte per l’Alessi. Nella sezione Architetture ritroviamo, invece, i lavori svolti con il fratello Francesco con le stazioni della metropolitana di Napoli (Salvator Rosa, Materdei e Università), il Groninger Museum, l’Olympic Stadium e il quartiere Posco a Seul. La sezione Fragilismo è legata al manifesto realizzato da Mendini per la Fondation Cartier, una sorta di atlante geografico che segna la fragilità della Terra ormai intrisa di guerre e violenze. Con Stanze si ripropongono alcune camere progettate dal designer nel cui interno, si raccolgono ricordi e citazioni del progettista. Infine il Radical Melancholy focalizza i progetti del Mendini legati al radical design.Di seguito alcune sue importanti citazioni (dall’intervista di Matteo Galbiati) ci aiutano a comprendere meglio l’essenza dell’artista, designer e architetto: “Capisco che la creatività sia importante, ma la parola “creativo” sa troppo di marketing. Creare, ideare sono doti nascoste dentro ciascuno, ma molte persone non sono in grado di coltivarle. Poter usare la fantasia in ogni tipo di lavoro, questo sarebbe davvero un grande obiettivo”. “Il mio mondo interiore è legato alla pittura, a certi autori del Novecento: Savinio, i futuristi, Signac, Morandi, Kandinskij e molti altri ancora. Non posso dimenticare gli scrittori, come ad esempio Proust. Considero i progetti come fossero dei romanzi”. “Ho sempre avuto bisogno di lavorare assieme ad altri, noti o ignoti. Il colloquio mi è essenziale. Mi piace anche coordinare dei gruppi. Le persone note che sul piano umano mi hanno dato molto sono Rogers e Giò Ponti. Ci sono anche molte altre persone, meno conosciute, ma per me importanti”.

Alessandro mendini per atelier mendini e studio alchimia, poltrona di proust, 1978 di Sailko è concesso in licenza con CC BY 3.0 .

Due oggetti di sua progettazione, particolarmente iconici, di grande effetto e sicuramente dal disegno unico, riflettono perfettamente la personalità di Mendini: la Poltrona Proust e la Lampada Amuleto. La prima, presentata per la prima volta a palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1978 per la mostra dal titolo “Incontri ravvicinati di architettura” a cura di Andrea Branzi, assolutamente non tradizionale col suo rivestimento dal fantasioso stile del “pointillisme” francese. Simbolo del cosiddetto redesign, l’opera rispecchia pienamente il design postmoderno. In una intervista per Repubblica così spiega la scelta del nome: “…è stata per me una lettura infinita, un intreccio di sequenze senza inizio né fine. Rispecchia il percorso della mia vita. E poi, Proust mi interessava per il suo rapporto con la pittura. Non tanto quella che lui ama e che ritrova in Vermeer, ma quella coeva a lui: divisionismo e puntinismo, in cui ogni pennellata ha la sua forza individuale e l’immagine si frantuma, si spezza e si ricompone in un caleidoscopio di colori, come appunto in Signac e in Seurat”. La

DA httpswww.youtube.comwatchv=n6Gq7u5X3hY

 Lampada Amuleto, di più recente realizzazione, risalente al 2010, è progettata principalmente per studenti e architetti. Essa è costituita da un semplice disegno geometrico con due dischi circolari con corona illuminata a luce led, collegati da un tubolare centrale e con base anch’essa circolare, che rappresentano il sole la luna e la terra. Non ci sono né fili e né molle e non contempla alcuna sporgenza focalizzandosi principalmente sulle linee geometriche, i colori, e sulla ergonomicità dell’oggetto illuminante davvero stravagante, comodo e interessante anche poiché la luce può essere regolata e quindi utilizzata per svariate funzioni lavorative e non.

AlessandroMendini CC BY-SA 4.0

Ringrazio l’amico Marco Tansini per il suo contributo fotografico.

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