“La natura delle cose”, il 12 maggio a Napoli. Parla la regista Laura Viezzoli

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Venerdì 12 maggio, nell’ambito della rassegna Astradoc presso il Cinema Astra (via Mezzocannone, Napoli), verrà proiettato, in anteprima cittadina, il documentario “La natura delle cose”. E oggi che il dibattito sul fine vita, o, per meglio dire, sul diritto a vivere la propria morte, impegna il paese in un scontro di etiche, esso appare attuale, ed è una occasione da non perdere per una più profonda riflessione su se stessi. Laura Viezzoli è la regista, anconetana di nascita, milanese di adozione.

Partiamo dal titolo. De rerum natura. Lucrezio sposava le teorie di Epicuro. Perché hai richiamato il suo poema ?

“Ho rubato il titolo a uno dei libri più famosi del mondo, lo so! E l’ho fatto volontariamente per dare sin da subito e con semplicità un cappello filosofico al Film che è l’essenza, a mio avviso, del De Rerum Natura, ossia: quando si accetta l’esistenza di una fine, si vive con più preziosità tutto il resto. Ma anche per chi non dovesse conoscere questo poema, così ricco di spunti che vanno anche al di là di questa sintesi, sta nella “natura delle cose” arrivare a una fine, quando si ha un inizio. La morte è la cose più naturale – o almeno dovrebbe tornare ad esserlo – e universale che c’è.”

Il documentario segue le vicissitudini di Angelo Santagostino, affetto da SLA. Cosa ti ha colpito del tempo trascorso con lui?

“E’ stato un viaggio lungo per certi versi, e anche troppo breve per altri. Ho conosciuta Angelo nel luglio del 2013 e l’ho “cinematograficamente” inseguito sino al giugno 2014, quindi nel suo ultimo e prezioso anno di vita. Mi colpiva la vitalità nonostante la gabbia in cui viveva, ma anche e soprattutto la lucidità e quel suo essere millimetrico, come dice nel film, un po’ in ogni cosa. Mi piaceva passare il tempo con lui perché era un uomo che sapeva ironizzare e che aveva una cultura ampia e varia, ma priva di snobismo intellettuale. Sapeva esprimersi e sapeva ascoltare, capire.”

Certo il tempo con lui aveva un valore diverso, perché era palesemente a termine. Lo è per tutti noi, per lui, con lui, lo era in modo più evidente.

 Il documentario cerca di non dare una risposta ai problemi etici intorno al fine vita. È più una riflessione sulla finitezza umana. Eppure un messaggio c’è.

“Penso che di messaggi ce ne siano più di uno, perché è un film aperto che non da soluzioni univoche ma che spinge all’ascolto e all’immedesimazione. E’ il racconto di un uomo ma anche di un’amicizia e di un fine vita ma, forse, soprattutto di vita, con tutte le sue sfumature, gli alti e i bassi, le convinzioni e i ripensamenti, gli affetti, i ricordi, i sogni, gli incubi, diciamo le gioie e dolori quotidiani, che nella quotidianità del fine vita diventano per forza di cosa più estremi e in un certo senso, più preziosi. Il desiderio che mi ha spinto a realizzarlo è stato proprio quello di non dare un messaggio unico ma di spingere lo spettatore ad immedesimarsi in un corpo che lentamente perde la sua autonomia per finire nelle mani di altri. Perché, alla fine, credo che se ognuno di noi, dai politici ai comuni cittadini, si lasciasse andare all’ascolto dell’altro, dei suoi bisogni e dei suoi limiti, ci sarebbe l’opportunità vera di far vivere il fine vita come un momento unico e del tutto individuale. E’ difficile morire, per chiunque, per i credenti e per i non credenti, ma se in questa complessità si lasciasse spazio alla libertà individuale, tutto sarebbe più vivibile e più sopportabile, certo più rispettoso.”

 Cosa ti ha impegnato di più nella realizzazione?

“Diciamo che quello che mi ha impegnato meno, nel senso che ha riempito di bellezza e di senso tutto quello che facevo, è stato l’anno passato con Angelo. Il resto è stato complicato e faticoso, diciamo un po’ tutto il resto, perché lavorare con budget così minimali significa dover lavorare ad altro, avere altri lavori che ti permettano di campare e di lavorare.”

 E’ difficile lavorare ed emergere nel mondo della industria cinematografica italiana?

“Faccio un po’ fatica a considerare il Cinema documentario come un’industria. Sicuramente ci sono sempre più produzioni in Italia e sempre di maggior qualità, ma non c’è ancora una vera e diffusa sostenibilità economica per autori e produttori di Documentari. C’è la passione, c’è il bisogno di raccontare, c’è spesso l’impossibilità di non farlo, ma troppo spesso ancora una solitudine economica, che alla lunga può essere soffocante. Detto questo, nonostante le mille difficoltà del percorso produttivo de “La Natura delle Cose”, è un viaggio che rifarei ed è un viaggio in cui non sono stata sola, perché ho sempre avuto accanto Lorenzo Cioffi, un giovane e coraggiosissimo produttore napoletano di LADOC, che per fortuna sa guardare all’Europa, mettendo in piedi interessanti coproduzioni con altri paesi europei. Ecco, questa è la strada, continuare a raccontare, ma guardando al di là dei nostri confini nazionali.”

 Cosa pensi della legge passata alla Camera con la modifica sulla obiezione di coscienza?

“Penso sinceramente che sia un controsenso e che leda il significato stesso del ddl. Si tratta di un legge creata per tutelare il diritto del malato alla desistenza terapeutica, che punta alla relazione tra medico e paziente e che da un senso legale alle ultime volontà del malato. L’obiezione di coscienza rispetto alle volontà espresse in un “testamento biologico” toglie un grosso valore al testamento stesso. Poi, penso che siamo in Italia e che bisogna accontentarsi di piccolo passi uno dopo l’altro.”

Il documentario si avvale della produzione del napoletano Lorenzo Cioffi, che sarà presente in sala.

Giorgio Coppola

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2 Commenti

  1. Sono stato più di tre ore online, ma non avevo ancora trovato un articolo così piacevole da leggere.
    Se tutti i siti avessero contenuti fatti così bene,
    internet sarebbe decisamente più interessante da leggere.
    Un sincero saluto.

    • La ringrazio.
      La sua opinione ci da la forza di continuare a scrivere sul nostro quotidiano online…
      Felice di averla tra i nostri lettori!

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